mercoledì 11 marzo 2020

O. Henry

La New York di O. Henry collima con la descrizione di Italo Calvino ripresa da Le città invisibili da Jerome Charyn in Metropolis, ovvero una città dove “corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”. Il gusto per la sorpresa e per il paradosso emerge nei racconti di O. Henry come se la brillante superficie delle apparenze ogni tanto lasciasse uno spiraglio in cui i personaggi riescono a risaltare. Giusto piccoli momenti, gesti istintivi che mettono in contatto uomini e donne, come succede ai protagonisti di Mentre l’auto aspetta e del suo diretto seguito, La ragazza e l’abitudine. Sono quelle le scintille che O. Henry riesce a inquadrare, isolandole dal caotico contorno, anche se il più delle volte nascondono un errore, perché diceva un altro esperto, Joe Gould, “qui niente è al sicuro. Ormai mi aspetto che da un giorno all'altro l’intera città si dissolva in una nube di fumo”. Il perno attorno a cui ruotano tutti i racconti è proprio New York, l’ambizione di essere altro e nello stesso tempo la difficoltà di restare ancorati, avvolti nella brulicante realtà della città. Succede a Bellford in Un tuffo nell’afasia e a Harvey Maxwell in La storia del broker innamorato): la città è ostica e nello stesso tempo ospitale, irta di ostacoli e di opportunità in uguale misura, ma comunque capace di lasciare senza parole. Se ne accorge, in particolare, Raggles, il protagonista al centro di Come diventare newyorkesi, il racconto che offre il titolo alla raccolta: “Sulla Broadway, Raggles, fortunato corteggiatore di tante città, rimaneva intimidito e interdetto, come un campagnolo qualsiasi. Stava provando per la prima volta la pungente umiliazione di essere ignorato. E quando cercò di ridurre a formula quella luccicante, mutevolissima, gelida città, fallì miseramente. Per quanto fosse un poeta, non gli erano offerte analogie di colori, modi di comparazione, non c’erano incrinature nelle sue sfaccettature brillanti, nessun appiglio attraverso cui afferrarla e carpirne forma e struttura, come aveva fatto, con tanta facilità e spesso poco tatto, con altre città. Le case erano interminabili bastioni armati per la loro difesa; le persone erano spettri vividi ma senza sangue che si muovevano in modo sinistro ed egoista”. Il tratto surreale e onirico di O. Henry si manifesta nei repentini cambi di ruolo, che rendono i racconti, popolati da smemorati ed emiri (e altre creature della notte) e comprensivi persino di un dialogo tra statue, altrettanti miraggi. Capita a Chandler che in La sfilata dell’abito sprecato, soffre del suo stesso incantesimo: “Sulla Broadway sfilava con il suo abito vespertino. Questa sera sarebbe stato guardato e avrebbe guardato. Per le successive sessantanove serata l’aspettavano discutibili cene a menù fisso in abiti di lana sportiva, affollati banconi di bar, e birre e panini consumati in camera. Era pronto ad affrontarle, perché era un vero figlio della grande città degli eccessi e, per lui, una sera sotto i riflettori ne vale molte di oscure”. L’effetto è sorprendente perché è un ritratto a distanza ravvicinata della città attraverso i suoi abitanti, che sono presi dalla frenesia, da una costante distrazione, dalla velocità con cui si muove la città che diventa a sua volta un essere vivente. L’insieme ha una sua complessità, ma O. Henry ha mille gentilezze verso il lettore e i racconti sono piccoli quadretti con una cornice molto ampia, ricchi di sollecitazioni, ma dispensate sempre con una raffinata leggerezza. Ricordando che “un buon racconto è come una pillola amara rivestita di zucchero”, il tocco delicato ed elegante di O. Henry non gli impedisce di notare che “questa bella ma impietosa città di Manhattan non aveva un’anima, che i suoi abitanti erano manichini mossi da cavi e da molle, e che si trovava solo in una immensa landa disabitata”. Un’intrigante cartolina da Manhatthan e una bella riscoperta, utile a comprendere e a mitigare gli effetti collaterali della metropoli.

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