giovedì 25 maggio 2017

Richard Ford

“Gli affetti familiari si indossano solo in particolari occasioni” diceva Karl Kraus e questa è una di quelle. Nell’indagare il legame con padre e madre Richard Ford s’imbatte, inevitabilmente, nelle circostanze del matrimonio dei genitori. Un’ambivalenza esplicita fin dal titolo: è proprio Richard Ford che sta in mezzo, ma nello stesso tempo è quello che unisce Tra loro Parker ed Edna a determinare la prospettiva del racconto. Doppio anche nella sua intima costruzione, visto che le due parti (Lontano. Ricordando mio padre e Mia madre, in memoriam) sono state scritte a distanza di trenta’anni, Tra loro premia lo sforzo autobiografico di Richard Ford che, figlio unico e tardivo, si trova oggi a fronteggiare “la spietatezza del tempo che passa”. L’adattamento dei ricordi, che non è nemmeno sfiorato dalla nostalgia ed è molto accurato, as usual, parte da un periodo e un luogo, nel sud degli Stati Uniti a cavallo tra la prima e la seconda metà del ventesimo secolo, in cui “tutto era accettabile, ma niente lo era del tutto”. Nel ritrarre il padre, Richard Ford ricostruisce una parte essenziale del cosiddetto “sogno americano”: Parker è un commesso viaggiatore, incallito fumatore, bevitore, gran lavoratore, intraprendente e fiducioso, convinto che la buona volontà, la perseveranza e il lavoro quotidiano possano garantire il futuro, in ogni caso. Il tran tran di “una vita di piccoli fatti”, una casa comprata, un’auto nuova, un prestito, perché “nessuno aveva grandi esigenze” e comunque “non c’era nessuna disponibilità”, garantisce a Richard Ford un’infanzia condita da una felicità non fantasmagorica, ma solida, in cui matura l’embrione di una latente insoddisfazione che lo porta a considerare come “l’incompleta conoscenza delle vite dei nostri genitori non è una condizione delle loro vite. E’ una condizione soltanto delle nostre. Caso mai, ti obbliga a renderti conto che la sai meno lunga su tutto quanto c’è di rispettabile, perché i bambini restringono il campo di tutto ciò di cui fanno parte. Mentre essere ignaro o solo capace di fare congetture sulla vita di un’altra persona fa sì che quella vita sia libera di essere qualcosa di più di ciò che era veramente”. Il nocciolo e il cuore di Tra loro sono proprio questi: “la gente viene e va”, anche nelle consuetudini familiari, e la “dimestichezza” nel e con il ruolo dei genitori va dimenticata. Nella seconda metà, il tono si fa ancora più etereo perché rimasti soli, Richard Ford e la madre si avviano a vite autonome, separate da distanze non relative, e nella parte conclusiva Tra loro è il tentativo di conferire “una forma e un’economia che diano una coerenza fedele, attendibile, seppure a volte drastica, alle tante cose ineguali che ogni vita contiene”. Il limite congenito di Tra loro è nella concentrazione della storia: l’assemblaggio dei frammenti, non privo di ripetizioni (ammesse fin dall’introduzione), con qualche insistenza, porta il memoir a livelli confessionali, anche se, per fortuna, Richard Ford è uno storyteller superiore (su questo non c’è dubbio) per cui riesce a contenere le sue pensierose analisi in un contesto stilistico sempre attraente e convincente. L’efficacia del racconto (preso per quello che è) non è in discussione: la narrazione procede senza particolari scosse e, se non altro, le figure della madre e del padre non diventano personaggi di Richard Ford, piuttosto i testimoni e le prove che “dopo tutto, più vediamo pienamente i nostri genitori, più li vediamo come li vede il mondo, maggiori sono le nostre possibilità di vedere il mondo com’è”. L’assioma non è irresistibile e, nonostante gli ammirevoli tentativi, quello che succede Tra loro resta un bel punto di domanda.

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