lunedì 7 dicembre 2015

Elliott Murphy

Le Note al caffé di Elliott Murphy rispecchiano la tradizione degli appunti raccolti en passant, dai bistrot parigini alle osterie venete, tutti luoghi che nei suoi tour ha conosciuto da vicino, tanto è vero che si è lasciato New York alle spalle per trasferirsi in via definitiva nella Ville Lumière. Nel passaggio, la sua identità di raffinato songwriter si è evoluta verso altre forme di scrittura, giornalismo e narrativa compresi nell’elenco che si sono ricavati uno spazio tra una scorribanda e l’altra. La prima connotazione delle Note al caffé deriva proprio dalle caratteristica europee di questo diario di viaggio. Come tutti gli americani in trasferta, o in esilio, prima di lui (soprattutto gli amatissimi scrittori delle Lost e Beat Generation), Elliott Murphy adotta e applica una prospettiva singolare, molto stimolante nella valutazione delle distanze culturali. Per esempio, suggerisce un punto di vista abbastanza curioso rispetto alla golden age del rock’n’roll quando dice che “soltanto in America è esploso il fenomeno anni sessanta, nel resto del mondo abbiamo avuto per due volte gli anni cinquanta. E poi ci siamo svegliati direttamente negli anni settanta: tutti portavano i pantaloni a zampa d’elefante e protestavano contro la guerra e le bombe”. Si può discuterne, così succede con la sua percezione delle differenze all’interno dei confini europei: “Se la Francia è la patria del surrealismo, allora l’Italia è in centro del caos e dell’anarchia sessuale, il principio di tutto. Dove tutti, a parte me, conoscono le regole. Oppure dove tutti, tranne me, sanno che non esistono regole”. Una logica che deve parecchio alle ragazze avvistate e inseguite nelle vie di Treviso o al fantasma di Hemingway al Caffè Florian di Venezia, che “di per sé non è nient’altro che un atollo della fantasia che affiora dalla laguna”. E’ difficile distinguere Elliott Murphy dai personaggi che incrocia e sviluppa nelle Note al caffé: tra schizzi, porzioni di fiction e di flusso di coscienza scorrono l’inevitabile Jim Morrison a Parigi, una citazione di Sartre, un’immagine di Napoleone e tutto un avvicendarsi di caratteri e interpreti dal tono dylaniano, fonte sicura e primaria, e poi, ancora, il cinema d’autore con John Ford, François Truffaut, Wim Wenders, Sam Shepard e lo spettro di un secolo (il ventesimo) a cui questa prosa appartiene in modo inequivocabile. Tra una bozza e l’altra matura un presagio di quello che sarebbe venuto (non ci voleva una grande immaginazione, in effetti), ma una serie di istantanee non fa una storia, anche se Elliott Murphy è un osservatore ispirato, capace di distinguere i nessi tra la letteratura e il rock’n’roll (che rimane il suo primo lavoro) sempre con una predisposizione romantica ed entusiasta che garantisce alle sue Note al caffé una certa leggerezza e una sostanziale qualità dello stile. Fedele alle sue origini naturali, Note al caffé è frammentario, inconcludente, come una raccolta di cartoline spedite da un viaggio con troppe destinazioni, senza una meta definitiva, più l’idea di un libro, che un libro vero e proprio.

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