lunedì 15 giugno 2015

Richard Ford

Con l'età, Frank Bascombe è diventato “un incidente ambulante in attesa di verificarsi” e, alla ben nota, disincantata saggezza, ha aggiunto un tono più pungente. Sarà l'elettricità lasciata nell'aria dall'apocalittico passaggio di Sandy (ed è curioso che l'uragano che ha devastato il New Jersey abbia preso il nome da una delle più tortuose canzoni dell'epopea springsteeniana), ma non qui c'è nulla di crepuscolare e/o consolatorio. Anzi, il clima dopo la tempesta è più conflittuale che mai, anche se l'amplomb di Frank Bascombe, in evidente collaborazione con Richard Ford, fa di tutto per dissimularla perché “ci vuole del genio per rendere interessante la realtà”. Se l'incipit appare una logica conseguenza di Lo stato delle cose, la vista delle rovine dove l'oceano ha ripreso il suo spazio (“Sono qui”) è già un segnale inequivocabile di un passo più lungo perché riporta “l'atmosfera di un disastro senza limiti”, dove il ripristino imposto dagli eventi naturali si sovrappone alla desertificazione artificiale, il landscape trasformato in manscape, senza speranze e con buona pace dei mistici del New England, tanto che Frank Bascombe dice che “è un mistero come ne usciremo prima che l'ultimo metro edificabile sia coperto di cemento e non resti più un posto dove andare, se non lontano di qui e a fondo”. E' chiaro che Frank Bascombe si sente al capolinea con tutte le caratteristiche peculiari del momento e in questo Richard Ford si associa alla lunga sequenza degli “animali morenti” di Philip Roth, solo che c'è una sorta di osmosi con il suo personaggio. Non è proprio un alter ego, anche se Richard Ford e Frank Bascombe hanno moltissimo in comune, più di tutto il fatto la consapevolezza che “il mondo diventa più piccolo e più concentrato quanto più a lungo vi restiamo”. E' proprio l'attitudine a scovare l'invisibile e in questo senso a “essere disponibile per ciò che non è evidente”, e così è sistemato anche chi sostiene che qui non succede mai niente. Anche l'ultimo capitolo della collezione di Frank Bascombe non si smentisce e si snoda attravero una serie di incontri in cui si accorge che “noi abbiamo solo ciò che abbiamo fatto ieri, ciò che facciamo oggi e ciò che potremmo fare ancora. Più quello che pensiamo di tutto ciò. Ma nient'altro: niente di duro o che somigli a un nocciolo. Non ho mai visto la prova che esista qualcosa di diverso. Anzi, ho visto il contrario, una vita altrettanto feconda e imperscrutabile, seguita dalla fine”. La differenza viene a galla a questo punto e Richard Ford sa usare il suo tatto, sapendo che “le parole possono anche essere gli emissari più deboli dei nostri sentimenti” per affrontare l'unica certezza. Lo dice persino con garbo: “La morte. Il dolore. La salvezza. Che sballo, quando ci pensi bene” lascia filtrare attraverso Frank Bascombe, un personaggio per cui è impossibile non provare simpatia, soprattutto perché, per ironia della sorte, nel suo declino diventa a tutti gli effetti Richard Ford. Nella sfumatura finale infatti torna a ricordare il suo tentativo di diventare uno scrittore, all'inizio di tutto, all'epoca di Sportswriter. Richard Ford l'aveva lasciato fallire e adesso Frank Bascombe sembra rimproverarglielo. Un gioco di specchi che si può permettere soltanto un grande scrittore perché siamo circondati soltanto da noi stessi e distinguere i riflessi, spesso gli abbagli, è ciò che separa la letteratura dall'intrattenimento.

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