lunedì 9 gennaio 2012

Stephen King

22/11/’63 è uno spettacolo pop e popolare “all american” che rimane irrisolto proprio nel suo snodo fondamentale, ovvero le circostanze e le conseguenze di un viaggio nel tempo. Forse non era nemmeno quello l’obiettivo di Stephen King visto che all’inizio le sue proiezioni scelgono di infilarsi nel passato  “non foss’altro che per sentire Little Richard quand’era un eroe da classifica”, che potrebbe pure essere un motivo più che sufficiente. Arrivato nel 1958 passando per un varco temporale Jake Epping alias George Amberson è tentato di cambiare il corso storico degli eventi magari con l’idea di migliorarli, ma “il passato è in armonia con se stesso, cerca sempre di trovare un equilibrio, e quasi sempre ci riesce”. A Stephen King preme raccontare il mondo com’era, e un po’ anche com’è, attraverso una profonda conoscenza della cultura popolare americana, o forse sarebbe meglio dire degli usi e dei costumi nonché del folklore. Dallo sport alla cena take away (per non dire del rock’n’roll) sono un’infinità le tracce sparse alla ricerca dell’identità di una nazione prigioniera di un passato che somiglia moltissimo al presente. A ogni azione corrisponde una reazione, i ricordi sono dinamici e in questo Stephen King ha buon gioco a rivedere e a rileggere il passato recente dell’America lungo due punti critici, la crisi dei missili dell’ottobre 1962 e il 22 novembre del 1963. Forse c’era il bisogno di confrontarsi con l’omicidio di JFK, come hanno fatto Don DeLillo con Libra e Norman Mailer con Il racconto di Oswald e non sono gli unici scrittori evocati: Stephen King cita Paul Bowles, Thomas Hardy, John Steinbeck, Ed McBain, Chester Himes, Irwing Wallace, John Irwing e soprattutto se stesso. Se si cambia qualcosa è facile vedersi proiettati in scenari degni di L’ombra dello scorpione e il viaggio nel tempo porta a Derry cioè a It, un altro modo per dare al lettore un punto di riferimento, un punto di arrivo. In realtà Stephen King ammette tutti i limiti dei suoi flashback, anche se lo fa in modo inconsueto. C’è una storia d’amore nell’intimo del “ritorno al futuro” di Stephen King ed è l’impedimento perché il destino fatale si compia: quello che succede tra Jake Epping alias George Amberson e Sadie Dunhill già signora Clayton sovverte l’ordine delle idee e sviluppa un mondo parallelo più resistente dei calendari e dei libri di storia. E’ la parte più convincente di 22/11/’63 perché poi come direbbe Bruce Springsteen “è buffo, il passato. Tiene unita la nostra esistenza, i nostri ricordi e le nostre esperienze, ma è anche qualcosa che ci può ostacolare impedendoci di scoprire quanto di nuovo c’è nella vita”. Quello che non cambia è Stephen King: leggerlo è come ritrovare un vecchio amico di cui si conoscono le consuetudini o bere una birra che è sempre la stessa (anche se nel passato, sembra, era molto più buona). Per qualcosa di più, bisogna passare a con Indietro nel tempo di Jack Finney, a cui Stephen King fa esplicito riferimento, non senza una certa onestà.

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