lunedì 10 gennaio 2011

Jon Ronson

Uomini che uccidono le capre con lo sguardo, interrogatori a base di telepatia, armi segrete nascoste nel cervello di ogni soldato, LSD distribuito per vedere l’effetto che fa, pillole stop & go per restare svegli tre giorni di fila e dormirne altrettanti senza interruzioni: gli esperimenti senza fine dell’esercito americano per conquistare cuori e menti nella battaglia non hanno mai avuto limiti né di budget né di immaginazione, e su questa ricostruzione non si discute. Bisogna però partire con il piede giusto: L’uomo che fissa le capre, a differenza dalla sua interpretazione cinematografica, ha ben poco del romanzo. Jon Ronson, come succede spesso con giornalisti e storici americani e anglosassoni, usa un tono narrativo, se non proprio confidenziale, e questo può indurre in errore e pensare che tutto quello che racconta sia frutto di una fantasia illimitata e bizzarra. In qualche modo lo è davvero soltanto che non è la sua: è quella dei comandanti americani che nella sfrenata corsa a soluzioni sempre più micidiali e devastanti si sono infine rivolti all’unica, vera arma di distruzione di massa presente sul pianeta, il cervello umano. Jon Ronson, incontrando di persona ufficiali e responsabili di quelle esercitazioni a base di sforzi del pensiero e tentativi di attraversare i muri e superando una comprensibile incredulità iniziale (“Per un agnostico non è facile accettare l’idea che a volte i nostri leader e i leader dei nostri nemici sembrino convinti che la gestione delle faccende mondiali debba svolgersi, oltre che sul piano del reale, anche in una dimensione soprannaturale”) descrive una minima parte dei progetti speciali dell’esercito americano, con un particolare riguardo alle cosiddette operazioni psicologiche. Alcune hanno radici filosofiche indiscutibili (“Se capisci il nesso tra osservazione e realtà impari a danzare con l’invisibile”: lo direbbe anche Alejandro Jodorowsky), altre servono solo a dissipare enormi quantità di risorse pubbliche e altre ancora non nascondono l’unico obiettivo. Il solito, che uno degli intervistati di Jon Ronson spiega in maniera fin troppo chiara: “La guerra è sia una realtà fisica, sia uno stato mentale. La guerra è ambigua, incerta e sleale. In guerra, dobbiamo pensare e agire diversamente. Dobbiamo prepararci per tempo all’ultima e più importante prova dei fatti: il combattimento. Dobbiamo vincere sia la guerra, sia la pace. Dobbiamo essere pronti a dubitare di qualsiasi cosa”. Jon Ronson è brillante, acuto e coinvolgente e il suo reportage, pur tra le inevitabili omissioni e le frasi lasciate a mezz’aria rivela molti lati oscuri (e criminali) degli uomini che fissavano le capre ed è una lettura inquietante anche perché lascia intuire che abbia soltanto raschiato la superficie. Mettendo almeno in chiaro che la vera arma segreta della mente umana è la menzogna perché “chi travisa i fatti li controlla perfettamente, fin dall’inizio. E’ molto difficile leggere in controluce il significato di una storia che ci è stata propinata in un certo modo”. Efficace.

 

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