Una figura avanza lungo la strada che porta alla smalltown di Miss Amelia Evans, un posto dove “l’anima ti si corrompe nella noia” perché, come si evince già dal memorabile incipit di La ballata del caffè triste, “il paese in sé è squallido: non c’è nulla tranne la filanda del cotone, le case di due stanze dove vivono gli operai, pochi alberi di pesco, una chiesa con due finestre colorate e una misera via principale, lunga appena un centinaio di metri”. Fino a quel momento, Miss Amelia Evans è stata il factotum, la dispensatrice di medicine e di un liquore clandestino che un’esperienza che mostrato la verità e scalda l’anima, il definitiva il deus ex machina che domina sul villaggio. Dietro la scorza durissima, c’è il fantasma di un matrimonio durato qualche giorno con Marvin Macy, poi cacciato senza troppi complimenti. L’arrivo del Cugino Lymon riporta l’aroma dell’amore nella casa di Miss Amelia Evans che diventa il caffè al centro di tutti i turbamenti della cittadina. L’imprevisto ritorno di Marvin Macy travolge il precario equilibrio perché, come ricorda Carson McCullers, “l’amato teme ed odia colui che lo ama, e a ragione. Perché l’amante cerca sempre di mettere a nudo l’oggetto del proprio amore; e richiede ogni possibile genere di rapporto con l’amato, anche se l’esperienza solo dolore”. Lo scontro tra Marvin Macy e Miss Amelia Evans è senza esclusione di colpi ed lì che La ballata del caffè triste rivela l’intensa geografia umana perché “la gente, a meno che non fossero creature senza volontà o malate, non poteva essere presa in mano e trasformata nel corso d’una notte in qualcosa di più pregevole e vantaggioso” e, va da sé, che “in paese tutti provarono la soddisfazione di quando uno scandalo o altra tremenda disgrazia rovina a fondo qualcuno”. Con La ballata del caffè triste, Carson McCullers ha cercato di raccontare “l’amore passionale, individuale, il vecchio amore alla Tristano e Isotta, l’amore di Eros, è inferiore all’amore di Agapè, il dio greco del banchetto, dell’amore fraterno e umano”, ma nello stesso tempo ha centellinato tutti i “southern accents” nel “materiale emotivo” dalle mutevoli forme. Succede in La ballata del caffè triste, e così negli altri racconti: la trasformazione non è improvvisa, cresce con la tensione resa alla perfezione da una scrittura meticolosa, ma prima o poi scopre una lacerazione. Come in Wunderkind, dove l’insegnante di musica suggerisce all’allieva riluttante di pensare “al fabbro che lavora al sole tutto il giorno. Lavora libero e sereno”, ma una lunga serie di dettagli lasciano intuire che l’auspicio non troverà fortuna, anzi. Carson McCullers usa lo stesso metodo disseminando particolari che a prima vista paiono insignificanti, ma poi rendono alla perfezione le torbide atmosfere che affronta Il fantino, le menzogne di Madame Zilensky e il re di Finlandia o il disorientamento che vive Il forestiero in “un succedersi di città, di amori passeggeri e il tempo, il sinistro scivolare degli anni, sempre il tempo”. Completano il quadro l’amarissimo Dilemma domestico e Un albero. Una pietra. Una nuvola, un finale ancora al bancone di un bar dove i protagonisti si ritrovano a misurarsi con “la parte sbagliata dell’amore” che poi è il tema in rilievo a tutti i racconti, come se fossero le strofe di un’unica, lunga ballata. Da riscoprire.
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