Paul Bowles scrive la sua autobiografia come un romanzo, dall’infanzia condita dalle fantasie rigogliose, che comprendono anche la sua prima idea narrativa con lo stesso titolo, Senza mai fermarsi, agli studi di geologia fino alla scoperta della musica con Cole Porter, George Gershwin e il suo primo disco, At The Jazz Band Ball della Original Dixieland Jazz Band. I conflitti con la famiglia, che lo vorrebbe più concreto e meno vagabondo, l’applicazione al pianoforte, l’assidua curiosità per l’arte (e per gli artisti) in ogni forma fanno scoprire a Paul Bowles un’innato desiderio di partire, forte, nei suoi vent’anni dell’idea che “un ragazzo si spingerà fin dove glielo consenti”. A Parigi viene iniziato da Gertrude Stein (compresi i suoi siparietti con Alice Toklas) e dagli incontri con André Gide, Christopher Isherwood e Stephen Spender, a Berlino annusa l’aria malefica nell’avvento del nazismo a Berlino, a Barcellona insegue Mirò, ma è in Marocco che matura le svolte più importanti. È ancora una volta una partenza senza destinazione: “L’idea esaudiva il mio massimo desiderio, quello di fuggire il più lontano possibile da New York. Essendo del tutto ignaro di ciò che avrei trovato laggiù, non mi facevo nessun problema. Mi avevano detto che avrei trovato una casa da qualche parte, un piano in un modo o nell’altro, e il sole tutti i giorni. Mi sembrava potesse bastare”. L’altro lato della medaglia è svelato dallo stesso Paul Bowles ed è il cuore di una vita attraversata Senza mai fermarsi: “Come tutti i romantici, avevo sempre avuto la vaga certezza che un giorno nella mia vita sarei giunto in un luogo magico, che svelandomi i suoi segreti mi avrebbe dato la saggezza e l’estasi, forse perfino la morte. E ora, mentre in piedi nel vento guardavo le montagne davanti a me, sentivo mettersi in moto l’energia che avevo dentro, ed era come se mi stessi avvicinando alla soluzione di un problema non ancora posto. Ero incredibilmente felice mentre guardavo la catena delle montagne delinearsi a poco a poco, ma lasciai che la felicità mi sommergesse e non mi feci alcuna domanda”. Tangeri diventerà uno snodo fondamentale (non sono per Paul Bowles), un approdo e un nuovo punto di partenza, Fez “dove tutto era dieci volte più strano, più grande e più luminoso” persino un’epifania: “Avevo la sensazione di essermi lasciato il mondo alle spalle, e l’esaltazione che ne conseguiva era quasi insostenibile”. Anche la vocazione alla scrittura trova nelle avventure tra le coste atlantiche e quelle mediterranee, una diversa determinazione, rispetto ai tentativi fin lì vissuti: “Avevo già scelto un metodo che mi permettesse di selezionare i dettagli descrittivi. Per quanto riguarda la struttura e il carattere del paesaggio, avrei fatto leva sull’immaginazione (ovvero, la memoria). Avrei dato risalto a ogni singola scena con particolari tratti dalle esperienze che vivevo giorno per giorno mentre scrivevo, senza curarmi della pertinenza della giustapposizione che ne derivava. Non sapevo cosa avrei scritto il giorno seguente perché ignoravo ciò che mi riservava il domani”. Con un spirito instancabile, cosmopolita e pionieristico destinato a far combaciare i resoconti dei viaggi e l’intenso, continuo, inarrestabile desiderio di scoperta, che è raccontato nel flusso infinito di Senza mai fermarsi: “Nutrivo l’illusione di essere in procinto di arricchire la mia esperienza globale con un altro paese, un’altra cultura, e a essa si aggiungeva l’impressione che questo fatto fosse positivo di per sé. La mia curiosità nei confronti delle culture straniere era avida e ossessiva. Ero placidamente convinto che mi giovasse vivere in mezzo a persone di cui non capivo le motivazioni; questa immeditata convinzione rappresentava chiaramente un tentativo di legittimare la mia curiosità. Cercai di scrivere quante più pagine potessi prima di arrivare, in modo da non essere distratto dal primo contatto con una terra sconosciuta”. A quel punto, è utile ricordare un episodio giovanile, quando Paul Bowles dopo una lettura (in francese) si trovò davanti un pubblico attonito, finché uno degli invitati gli sussurrò: “Ragazzo, lei è troppo avanti perché questi qui ci arrivino, se ne renda conto”. Era vero, e Senza fermarsi è la prova che se ne è andato abbastanza lontano da vivere nella propria immaginazione.
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