lunedì 29 ottobre 2012

Kurt Vonnegut


"La tecnica del gatto oltre il muro”, un dettaglio del racconto da cui prende il titolo questa brillante raccolta, potrebbe essere benissimo la metafora del metodo che anima le prime e inedite short stories di Kurt Vonnegut. E’ l’imprevedibile e l’imponderabile, proprio quello che succede al felino sparato in aria (e a chi sta nella zona di atterraggio dall’altra parte), che determina i temi, le trame, i terremoti nelle vite dei personaggi di Guarda l’uccellino. In funzione di quella singolare variazione che spesso è un rebus e insieme la sua soluzione, Kurt Vonnegut mischia soluzioni, idee e stili, senza soluzione di continuità. E’ la forza della storia in sé che deve sostenersi da sola e questa è l’unica caratteristica comune a tutti i quattordici racconti di Guarda l’uccellino. Alcuni sono diamanti grezzi come Gridalo dai tetti o Il re e la regina dell’universo: partono da presupposti ingombranti che poi vengono tranciati da finali sorprendenti. In effetti potrebbero già contenere interi romanzi, e viene il dubbio che sia quella la loro origine. Altri sono perfetti, sia che giochino con il fantastico (come Il tagliacarte, un frammento che raduna tutto quello che può servire a confezionare un breve racconto) sia che rimangano incollati alla realtà come Parola d’onore o il toccante  Ciao Red. Gli estremi sono il primo e l’ultimo dei racconti di Guarda l’uccellino. Confido ruota attorno a “una scoperta più grande della televisione e della psicoanalisi messe insieme, che di soldi ne fanno a palate” ed è è geniale, se non proprio profetico, nel raccontare le deformazioni della vita dalla seconda metà del ventesimo secolo in poi, con un piccolo artificio dell’immaginazione. Una buona spiegazione svela invece cosa succede nei giardini segreti di un matrimonio, quando le parole che non sono state pronunciate pesano più di quelle dette. Confido e Una buona spiegazione racchiudono una popolazione di personaggi legati a vite anonime che vengono travolte da un mistero o da un segreto o dall’improvvisa apparizione di un’incognita. E’ quello che succede anche all’impiegato orwelliano di Fubar (termine che significa “a tal punto incasinato da essere irriconoscibile”). Relegato in un ufficio che più marginale non si può, condizionato dall’assistenza alla madre anziana e malata, il travet si sente “un padrone di casa alla festa più lunga e noiosa che si possa immaginare” fino a quando non gli presenta la nuova segretaria, una ragazza avvolta in “una scintillante costellazione di bigiotteria”. Tra i due scatta qualcosa che rimane sospeso in “quella sensazione complessiva di essere bloccati dalla nebbia che viene spesso scambiata per amore”, condizione che è piuttosto diffusa tra i personaggi di Kurt Vonnegut. Resta da dire proprio di Guarda l’uccellino un racconto di quattro-pagine-quattro che sublima i contorni noir di molte di queste storie. E’ un Vonnegut d’annata: pungente, incalzante più che mai, al lettore chiede pochissimo e lo lascia in compagnia di una selva di punti di domanda, che poi è quello che dovrebbe fare la letteratura.

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