George Saunders
La scrittura non è felice. E’ sgraziata, spigolosa, spesso gergale e colloquiale. Anche i temi sono scomodi e fin troppo attuali perché la percezione orwelliana che, è una costante che lega tutti i racconti di Pastoralia, per non dire della narrativa di George Saunders, attinge alle contraddizioni della società dello spettacolo e dell’intrattenimento, puro veleno. Il livello di attenzione, mescolato a una rara vocazione satirica porta George Saunders a leggere la realtà attraverso una particolare lente deformante, e il suo un punto di vista speciale, e mai accomodante, anzi. Il più delle volte spiazza e disorienta eppure, anche in queste condizioni, George Saunders riesce comunque a trovare a ogni racconta una sua efficace armonia. L’esempio più pratico ed evidente è quello di Pastoralia, la short story da cui questa raccolta prende il nome. I due protagonisti interpretano altrettanti trogloditi in una sorta di parco a tema di ambientazione preistorica. Forse non hanno trovato niente di meglio perché il lavoro prevede una vita di stenti, rari contatti con il mondo esterno e con le rispettive famiglie e di essere osservati, dai visitatori (paganti), come una specie in via d’estinzione. Se le letture metaforiche e le interpretazioni si possono sprecare in gran quantità, va detto che Pastoralia traccia già le due linee essenziali da cui George Saunders non di discosta: zero moralismi e una punta di acida veggenza, visto che il reality nel 2000 era ancora uno dei tanti azzardi dello show business. Una percezione che vale anche per protagonisti ingombranti come Tom Rodgers, il predicatore di Winky che manipola chiunque gli si avvicini, proprio come manipolano i predicatori (“Forse gli occorre un imperativo interiore. Un mantra. Un mantra può essere inteso come un imperativo interiore, no? Qualcuno ha un bel mantra di quelli azzeccati da suggerirgli?”) o la Miss Hacienda in Il parrucchiere infelice o ancora l’intera genia dei Dalmeyer in La fine di firpo nel mondo (e già capire chi è o cos’è un firpo è un’impresa). La popolazione dei racconti di Pastoralia è questa e i paesaggi non sono più rassicuranti: Quercia del Mar, il luogo da cui ruba il titolo l’omonimo racconto “non è un posto tranquillo. In lavanderia ci spacciano il crack e la settimana scorsa Min ha trovato un pugno di ferro nella piscina dei pupi. Potessi fare di testa mia, trasferirei tutto in Canada”. Con queste coordinate la riduzione di quello che George Saunders chiama “il classico sogno americano” è in bilico tra la sua parodia o una ricostruzione fin troppo concreta della realtà, visto che lo descrive così: “Parti da una topaia pericolosa, ti fai il mazzo così e un giorno potrai trasferirti in una topaia un po’ meno pericolosa”. Nella mezza dozzina di short stories di Pastoralia cambiano i dettagli, la trama, i volti, ma i toni stridenti non cedono di un millimetro e la cupa ironia di George Saunders si nutre del disincanto di chi può dire “padroni di lamentarvi, ma secondo me ci sta andando di lusso”. Ieri enigmatico, oggi puntuale alla meta.
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