Quando uscì Factotum uno dei suoi fans più accaniti e convinti, Tom
Waits, colse al volo l’occasione per descrivere Charles Bukowski così:
“E’ probabilmente uno degli scrittori più vivaci e importanti di fiction,
poesia e prosa contemporanea. Per me sta in prima posizione; mi fa sentire a
posto”. Questa complicità diventa una componente naturale, quasi obbligatoria
quando si legge Bukowski alias Chinaski in Factotum perché il suo è un sacrosanto
sberleffo alla cosiddetta civiltà borghese e benpensante: passa da un lavoro
all’altro come un’irriverente falena impazzita che schizza da una luce
all’altra ed è evidente che dei lavori in sé non gliene può importare di meno.
I suoi interessi sono radunati e circoscritti in un trittico inespugnabile:
bere, scopare, scrivere, e non necessariamente in questo ordine. L’identità di
Henry Chinaski è tale che non può essere scalfita nemmeno in modo superficiale
dai disordinati tentativi di trovarsi un lavoro qualsiasi: li prende e li tiene
quanto basta per raccogliere qualche spicciolo e poi dedicarsi agli scopi di
cui sopra. Finito il gruzzolo, si ricomincia daccapo Un metodo piuttosto
primitivo che Chinaski ammette in modo candido: “Mi comportavo così per istinto
più che altro. Cominciavo sempre un lavoro con la sensazione che l’avrei
lasciato presto o sarei stato licenziato, e questo mi conferiva un modo di fare
rilassato che veniva scambiato per intelligenza o consapevolezza di avere
qualche asso nella manica”. Nel suo curriculum (si fa per dire) i lavori
migliori sono quelli “umili”, la normalità è formata da una lunga teoria di
quelli “infimi”, a cui va spesso aggiunta una nota alterata e pittoresca. E’
una costante, in Factotum, che serve a Bukowski per svelare l’anima del suo pensiero. La
vera necessità non è il lavoro e, parole sue, “ecco di cosa aveva bisogno un
uomo: speranza. Era l’assenza di speranza a scoraggiare un uomo. Ricordai i
giorni di New Orleans, quando mangiavo solo due tavolette di cioccolata da
cinque cents al giorno per aver tempo di scrivere. Ma purtroppo morir di fame
non faceva diventare veri artisti. Anzi. L’anima dell’uomo ha radici nello
stomaco. Chiunque scrive molto meglio dopo una bistecca di manzo e una pinta di
whiskey che non dopo una tavoletta di cioccolata da cinque cents”. Nella scrittura,
Chinaski prova a ripristinare il rubinetto rotto del suo destino e cerca di
rileggere la sua disordinata vita non tanto come un’esperienza bohemienne,
piuttosto come l’espressione dell’estrema coerenza di uno stile. Unico
nell’inventarsi anche una vendetta in fondo alla deprimente trafila dei
rifiuti: i racconti che manda alle riviste gli tornano indietro tutti, senza
tanti complimenti, fino a quando non gliene viene accettato uno. Lo scrittore
qualsiasi avrebbe festeggiato brindando. A Chinaski, che vive con il bicchiere
in mano, basta il tripudio del titolo: La mia anima strafogata di birra è
più triste di tutti gli alberi di Natale morti nel mondo. “Spettacolare”, parola di Tom
Waits, uno di cui ci si può fidare.
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