La notte del 31 ottobre 1999 il volo EgyptAir
990 da New York per Il Cairo scomparve nei cieli dell’Atlantico. Nessun
allarme, nessun segnale di soccorso, nessun avviso, solo un traccia che nel
giro di pochi minuti sparisce dagli schermi dei radar americani. Le torri di
controllo, civili e militari, non ottengono risposta e così gli altri velivoli
che transitano nell’area e che provano a contattarlo. Almeno fino a quando
l’equipaggio di un rimorchiatore della marina mercantile non nota i primi
rottami affiorare sulla superficie dell’oceano insieme al terrificante puzzo di
cherosene che rende irrespirabile l’aria e conferma che il Boeing 767 con 217
persone a bordo è precipitato. Una prima analisi dei tracciati e delle
comunicazioni non offre alcuna spiegazione logica. Una volta recuperato il
registratore dei dati di volo alias la cosiddetta scatola nera agli
investigatori, americani ed egiziani, si presenta una situazione enigmatica.
Non c’è evidenza di un dirottamento, di un attentato esplosivo o di una collisione.
Le registrazioni dicono che il primo pilota aggiunto (visto la lunghezza del
volo, la EgyptAir imbarca sembre due team) è rimasto solo nella cabina e ha
sviluppato una serie di manovre in antitesi con l’idea stessa del volo e, per
un lasso non irrilevante di tempo, persino con i comandi del comandante
rientrato al suo posto. Non solo, mentre il Boeing 767 precipitava alla
velocità del suono, se ne restava calmo e lucido a mormorare, in arabo, una
frase monca e criptica. Tutta la storia è avvolta in un’aura misteriosa che
ancora oggi offre terreno fertile per dozzine di interpretazioni fantasiose,
che vanno dall’allineamento dei pianeti agli immancabili alieni. William
Langewiesche, che è stato a sua volta pilota, per cercare di comprendere Lo
schianto dell’EgyptAir 990 parte da una constatazione che può sembrare ovvia e banale,
ovvero che “in sostanza gli aeroplani sono apparecchi piuttosto semplici,
nient’altro che oggetti con le ali studiati in modo da reggersi in aria:
progettati per volare, ed è proprio ciò che fanno”. Sono gli esseri umani la
parte più complicata e infatti la sua ricostruzione, fatta con una chiarezza
disarmante anche quando si tratta di spiegare particolari tecnici non proprio
elementari, tocca in modo sensibile l’aspetto dei rapporti tra investigatori
americani ed egiziani e le rispettive autorità nazionali. Un serrato confronto
tra culture, esigenze (politiche ed economiche), procedure molto diverse eppure
condannate a convivere nel nome di una solida e strategica alleanza. Il disastro
aereo diventa per William Langewiesche l’occasione convogliare l’attenzione
“sulle difficoltà che noi, gli Stati Uniti, con la nostra peculiare forma di
governo, incontriamo nel nostro muoverci per il mondo, sul modo con cui
affrontiamo la possibilità che altri paesi abbiano agende politiche del tutto
diverse dalla nostra, o che cerchino di manipolarci”. Notevole anche la verve
per il racconto che va di pari passo con l’accuratezza dell’analisi, molto
razionale, molto precisa.
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