Anche con le forme dell’intervista, la voce di Tom Waits
resta unica e impareggiabile. Del resto, dopo un po’ anche i coraggiosi che
incontrano Il fantasma del sabato sera rimangono ipnotizzati dalla sua vena surreale e
istrionica e finiscono per parlare come lui. Quella di Tom Waits è stata “un’avventura
improvvisata” a partire dai romanticissimi esordi californiani, quando si era
presentato come l’ultimo profugo della Beat Generation. Nelle prime interviste
che Il fantasma del sabato sera colleziona spulciando tra fogli e fanzine dell’underground,
la sua dedizione per Jack Kerouac, Alleng Ginsberg, Lenny Bruce e Charles
Bukowski è più esplicita che in altre occasioni. Poi, lasciandosi alle spalle
un’intera, lunghissima stagione vissuta con indomito spirito bohémien Tom Waits
si è avviato a diventare uno dei più importanti artisti americani del ventesimo
secolo, di sicuro il più singolare, coerente e coraggioso: “Me ne accorgo solo
adesso. Mi accorgo che ho uno stile di vita, ma non so se lo si possa collegare
agli stili di vita che c’erano prima di me o vanno di moda adesso o forse
arriveranno domani. Io vivo così e basta”. Le interviste, collocate in ordine
cronologico a ridosso delle uscite discografiche, dicono molto della sua
biografia, anche se, da Swordfishtrombones in poi, è diventato sempre più elusivo ed
enigmatico. “Sono solo una voce che qualcuno ha messo in giro” diventa il
mantra con cui Il fantasma del sabato sera incrocia le gesta di Tom Waits che si rivela, una
volta di più, uno storyteller convinto e reo confesso, visto che, senza
lasciare molti margini all’interpretazione, dice: “Non apprezzo particolarmente
la verità. Preferisco una storia ben inventata alla realtà dei fatti”. Scavando
tra una battuta e l’altra, un aneddoto e un aforisma si scopre che Il
fantasma del sabato
è molto meno evanescente di quanto voglia apparire e che la sua eccentricità
sia funzionale a qualcosa che somiglia a un empirico spirito di sopravvivenza
perché “la verità non esiste. Le persone che sanno veramente come sono andate
le cose non parlano. E le persone che non ne hanno assolutamente idea, invece, è
impossibile farle stare zitte. E’ lo stesso con i pettegolezzi sulla tua vita e
sulla vita della tua famiglia e dei tuoi amici. Siamo immersi nella stessa
ipocrisia”. La constatazione non è fine a se stessa perché sia come songwriter
che come attore Tom Waits ha creato una moltitudine di outsider e ha seguito un’infinità
di tracce di “rain dogs” per non avere un’idea abbastanza precisa della terra
che ha attraversato e del viaggio che ha compiuto: “C’è una solitudine comune
che si estende da costa a costa. E’ come una crisi di identità collettiva che
si allarga a macchia d’olio. E’ la notte americana, calda, scura e narcotica.
Spero solo di riuscire ad afferrare questa sensazione prima di conquistare
definitivamente un posto al sole, uno di questi giorni”. Una storia ben
raccontata, insomma, abbasta sfuggente e volubile, da risultare, trattandosi di
Tom Waits, fedele all’originale.
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