sabato 2 febbraio 2013

Neil Young

Uno degli aspetti più curiosi e interessanti della vita di Neil Young è che trova un nome per tutto. Non c’è automobile, caravan, chitarra, garage o abitazione a cui non abbia dato un appellativo neanche fossero esseri umani. Si capisce che è un uomo dalle mille passioni, tutte vissute in modo viscerale ed emotivo, con un’idea tutta sua della disciplina (ammesso che con Neil Young possa essere usato questo termine) o del lavoro. La sua storia, più che la sua autobiografia, è un’altalenante e irriverente carrellata di colpi di testa e sbalzi di umore dedicati di volta in volta alle chitarre, al modellismo ferroviario, alle automobili, al confronto con le rivoluzioni digitali, alle sue rock’n’roll band. La congiunzione di questi punti sparsi in modo bizzarro danno forma e fanno emergere il paradosso della sua coerenza e in fondo quello che Il sogno di un hippie nella sua essenza. Fedele alla sua natura di “cavallo pazzo”,  Neil Young scrive con lo stesso istinto delle convulsioni chitarristiche e, come si può immaginare con una certa facilità, la cavalcata è accidentata e piena di imprevisti perché rimane un incallito e indomito sognatore. Ingenuità ed eccentricità convivono da anni e contribuiscono a delineare una personalità unica, e non lo scopriamo certo oggi. Quello che si trova, anche soltanto sfogliando Il sogno di un hippie, è una collezione disordinata di anni in cui è stato accumulato un po’ di tutto. Come dal rigattiere dove Neil Young e il suo fedele art director comprarono il posteriore della Cadillac del 1959 poi insabbiato nella copertina di On The Beach (la sua preferita) Il sogno di un hippie raduna e mette a disposizione la ricetta degli spaghetti del papà (auguri), le contorsioni di un musicista che, dai Buffalo Springfield a Daniel Lanois non si è fatto mancare niente, i ritratti (sempre affettuosi) di compagne e compagni di viaggio, gli infiniti fotogrammi della vita on the road, gli aneddoti e le polemiche. Memorabili, in questo senso, le cinque pagine dedicate alla diatriba con la Geffen Records, parentesi discografica in cui i soliti, solerti ed efficienti manager pretendevano di sapere e di decidere chi o cosa fosse Neil Young. Lui rispose a modo suo, incidendo e pubblicando album del tutto estemporanei, mutando pelle e costumi senza preavviso. La battaglia, alimentata da “ego e incubi hollywoodiani”, andò avanti per un bel po’ perché “loro volevano che avessi successo commerciale e io volevo essere un artista che esprimeva se stesso: non sempre queste due ambizioni sono compatibili”. La strategia di Neil Young, all’epoca incomprensibile ai più, svela invece tutta la sua trama se ci si misura con Il sogno di un hippie. E’ un segmento elementare, una sequenza in cui diventa intelligibile il suo DNA: Neil Young ha fatto del mimetismo un’arte sublime perché nascondendosi di volta in volta dietro una maschera diversa è diventato ed è rimasto se stesso, che è poi Il sogno di un hippie diventato realtà (più o meno, perché con Neil Young non si è mai sicuri di niente).

Nessun commento:

Posta un commento