E’
il 4 novembre 1979 a Teheran quando gli studenti dell’università assaltano
l’ambasciata americana. Sono i giorni della rivoluzione degli ayatollah e la
città è scossa fin nelle sue fondamenta. Nulla sarà più come prima, né in Iran,
né nel resto del mondo ed è proprio nell’epicentro di quello storico terremoto
che un atto di guerra, senza spargimento di sangue, imprevisto e incontrollato,
diventa un caso di risonanza mondiale. Per qualche strana e curiosa ragione,
fin da Black Hawk Down, Mark
Bowden è un reporter specializzato nel raccontare piccoli e grandi fallimenti
americani ed pareva destino che rileggesse quei momenti. Il suo approccio nel
ricostruire circostanze, movimenti, protagonisti è figlio di un’ossessione per
i particolari, coltivata con lo scrupolo di controllare e verificare fonti e
notizie. Non a caso scrive, nell’epilogo di Teheran 1979: “Il metodo standard dei giornalisti che scrivono
su una nazione straniera è acquisire notizie per avere una visione generale e
arrivare a conclusioni probanti. Io posso fornire soltanto queste osservazioni,
esperienze e conversazioni, ossia pezzi presi a caso da un puzzle che non si
può risolvere”. L’ammissione ha una sua dignità e va detto che almeno Mark
Bowden è tornato a Teheran, trent’anni dopo, per capire cosa è rimasto:
l’edificio dell’ambasciata è ormai un guscio vuoto e anche il clamoroso gesto
degli studenti è visto in un’ottica tutta diversa, e non priva di ombre.
Circola persino l’opinione che la CIA non fosse del tutto estranea all’assalto.
Un’ipotesi tra le tante vagliate da Mark Bowden, che è sempre meticoloso nel
disporre in ordine tutti gli elementi di una storia, o almeno di cercare di
dargli una forma comprensibile. Questo accade per tutto lo sviluppo di Teheran
1979, compreso il bis del fallimento,
ovvero il disastro dell’operazione delle forze speciali americane nel deserto
iraniano. Anche in questo caso, come per l’occupazione dell’ambasciata, Mark
Bowden tiene sempre molto alta la guardia sui dettagli, che padroneggia con
sicurezza, anche quando si tratta di dati tecnici o tattici molto sensibili e
complessi. La sua abilità è di sapere come renderli comprensibili e nello
stesso tempo come farli parte della storia. La narrazione, anche se rigorosa
dal punto di vista dell’indagine e nella sua percezione storica, richiama
sempre una dimensione epica, cercando di usare l’enfasi per mettere in una luce
diversa la prigionia degli ostaggi, trasformandola in una resistenza.
L’occasione di plasmare il ricordo di una bruciante sconfitta in qualcosa più
appetibile è una tentazione troppo forte e anche se Mark Bowden è un principe
dell’equilibrio e della misura, si sente la spinta a mutare un fallimento lungo
più di un anno dentro le forme di un’altra prospettiva. Detto questo Teheran
1979 è assemblato in modo
impeccabile e lo stile di Mark Bowden ha il pregio di convogliare
testimonianze, analisi, valutazioni, opinioni, descrizioni in una scrittura che
si avvicina al lettore con discrezione, per poi non mollarlo più Molto abile,
molto acuto.
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