Di tutti i romanzi di Kurt Vonnegut, Ghiaccio nove è quello che risente di più della sua formazione scientifica. Alla base c’è, riletta, come è naturale, in modo del tutto originale, un’analisi delle responsabilità nelle scoperte scientifiche, come in tutte le scoperte: il Ghiaccio nove è un’altra visione dell’arma assoluta, in cui si cela e insieme si svela il terrore dell’incubo nucleare. Ghiaccio nove non si può sciogliere dal suo legame storico, visto che risale al 1963: soltanto l’anno prima il mondo era arrivato a un passo da quella che gli strateghi militari avevano definito, con il consueto gusto per gli acronimi, “MAD”, ovvero “mutual assured destruction”, distruzione mutua assicurata. Non sfuggirà la cupa ironia della sigla, che tradotta in una lingua comprensibile sta per “folle”. Questa è l’atmosfera in cui sono fiorite le gesta di Felix Hoenniker, premio Nobel che ha fornito la bomba atomica e che, non soddisfatto, ha scoperto il Ghiaccio nove. La trama parte proprio da questo scienziato old school che sembra ossessionato dalle sue ricerche. Come lo descrive lo stesso Kurt Vonnegut “questo vecchio a cui non frega niente delle persone, scopre una forma di ghiaccio che è stabile a temperatura ambiente. Lui muore e alcuni idioti entrano in possesso della sostanza, che io chiamo Ghiaccio nove. Gli idioti finiscono per versare qualche goccia di questa roba nel mare, le acque di tutto il mondo gelano: e questa è la fine della vita sulla terra come la conosciamo noi”. Trattandosi di Kurt Vonnegut la storia non sarà così semplice perché si articola in spirali di disgressioni continue tra frammenti di canzoni popolari e brani swing, culture tribali inventate dal nulla e dialettiche famigliari frustranti, un linguaggio scoppiettante e paragrafi con titoli come La capitale mondiale dei barracuda o Un pesce scagliato da un mare infuriato. Sempre sorprendente, sornione e imprevedibile, Kurt Vonnegut è un giocoliere delle parole, un eccentrico affabulatore e un raffinato provocatore. Tutte qualità che non gli impediscono di arrivare al centro del bersaglio, in Ghiaccio nove più che altrove, come diceva commentandolo: “Un fisico virtuoso è un fisico umanista. Tra l’altro, essere un fisico umanista è un buon modo per vincere due premi Nobel anziché uno solo. Cosa fa un fisico umanista? Dunque osserva le persone, le ascolta, pensa a loro, augura tutto il bene sia a loro sia al pianeta in cui vivono. Non farebbe mai consapevolmente del male alle persone. Se scopre una tecnica la cui dannosità per le persone è evidente, se la tiene per sé. Egli sa bene che uno scienziato può rendersi complice di delitti, e di quelli più efferrati. E’ senza dubbio un concetto piuttosto semplice, mi pare e indubbiamente chiaro”. E’ altrettanto preciso quando dice che si muore per “pietrificazione del cuore o per atrofia del sistema nervoso”, se si viene privati della “consolazione della letteratura”, che, dal nostro punto di vista, è un disastro peggiore della distruzione mutua assicurata.
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