sabato 24 dicembre 2011

John Cheever

C’è un’aria decadente e insieme voluttuosa nei Racconti italiani di John Cheever. Dipenderà dalla scelta dei luoghi e dei volti, ma tutto richiama una civiltà che ha visto tempi migliori, ormai lontani e perduti. La villa decrepita di Montraldo, splendida e decadente, è la metafora più sincera per tutta l’Italia raccontata da John Cheever. E’ sempre una scoperta: le variazioni del clima (“I presagi non hanno alcun significato, ma la verità è che quando in Italia un viaggio inizia con un tuono e un cielo quasi nero di rondini siamo molto più coinvolti emotivamente dallo spettacolo di quanto ne saremmo se fossimo a casa”), come quelle dell’umore sono più vivide e repentine vissute in viaggio e i Racconti italiani mostrano i segni a ogni occasione. John Cheever vede a fondo e molto in là nel futuro dell’Italia: un paese di bizzarri poeti ed eroi mancati, di hotel, grandi nel nome e cadenti nella forma, di smisurate ambizioni e disperate abitudini, travolte da un’inedita realtà: “Ciò che è stato tenuto lontano dalle strade sconnesse è arrivato attraverso l’etere. La luce verde-bluastra del televisore nel bar, infatti, ha cominciato a trasformarli da marinai a cowboy, da pescatori a gangster, da pastori a giovani delinquenti e presentatori televisivi, gente con la vescica gonfia di Coca-Cola. Agli americani tutto questo sembra molto triste. I suoi viaggiatori, non di meno, sono altrettanto ingombranti e confusi: “Sono americani. Non c’è niente che possano fare per cercare di camuffare la commovente ridicolaggine e la goffagine del viaggiatore”. Racconti italiani è una selezione intensa e crepuscolare di visioni di nobiltà giunte al tramonto sotto il peso della loro stessa storia, di famiglie spezzate dall’istinto, o corrotte da rapporti e legami consunti dalla consuetudine, posaceneri rubati negli  e whisky bevuti da barattoli di marmellata dal cui fondo emerge sempre la stessa domanda: “Ma cos’era successo, e perché quel desiderio così semplice si era trasformato in un disastro?”. L’età dell’oro è finita per sempre e la sua conclusione è rappresentata in modo eloquente nello svolgimento di La duchessa, dove un’infelice feudataria romana risolve la dolorosa svolta storica della famiglia con una soluzione francescana. Alla duchessa tocca, in fondo, una sorte se non proprio felice, almeno dignitosa e coerente nella rinuncia. Ad altri non resta che l’esperienza disorientante dell’alienazione, che John Cheever traduce in particolare così: “Non conoscevo nessun altro che avesse intrapreso una simile strada nella vita se non come espressione di inadeguatezza, una scioccante e ripugnante mancanza di volontà a collaborare con le generose forze della vita”. Il riscontro, fin troppo evidente è l’elevata densità di fantasmi che popola i Racconti italiani: una presenza che, insieme all’ondeggiare ritmico del mare (sempre all’orizzonte), costituisce la fitta trama che lega tutte le storie, cucite insieme con mirabile precisione dalla scrittura, lirica ed essenziale, di John Cheever. Da riscoprire.

Nessun commento:

Posta un commento