Nel frenetico sovrapporsi di personaggi e storie che formano i segmenti narrativi in apparenza divisi gli uni dagli altri, eppure tutti collegati da una corrente sotterranea alimentata a colpi di flashback, i volti ricorrenti e in qualche modo centrali sono quelli di Bennie e Sasha. Un produttore discografico e una cleptomane (talenti che sono molto compatibili) sono i due fuochi attorno ai quali si sviluppa un’ellisse di musicisti travolti dalla vita, ingrassati, incupiti, devastati, qualche morto, qualcuno che sparisce, un sacco di bambini che sembrano più adulti degli adulti, carriere traballanti, molti legami invischiati con i ricordi d’infanzia, i momenti selvaggi e innocenti e felici nelle strade di New York o della California che si sono consumati in fretta e furia, le nuove nevrosi che s’impilano una dopo l’altra. Il tempo è un bastardo è la risposta alla domanda che c’è alla base di (quasi) tutti i social network: che fine avrà fatto (lui o lei)? “Anche quando non ci conosceremo più”, come dice qualcuno, l’argomento sarà ancora quello perché si può diffidare dei propri ricordi e ci si può dimenticare di essere felici (come dice Sasha: “Io sono sempre felice. E’ che a volte me ne dimentico”), ma l’urgenza di costruire e, più spesso, ricostruire il proprio mondo passa sempre attraverso gli inferni degli altri. Frenetico, insesorabile, scoppiettante di colpi di scena e rivelazioni concatenate, veloce e abbagliante nel continuo sovrapporsi di tempi e cronologie diverse, Il tempo è un bastardo riproduce la complessità a cui sono messe a dura prova le relazioni, in particolare quando sono soggette alle pulsazioni della tecnologia, delle ambizioni, degli standard, della farmaceutica (legale e non) e dall’ignoto perché a differenza di tutti gli aggeggi miracolosi che ci circondanto nel tempo, quello reale, non esiste lo stand by. In modo molto più esplicito lo dice anche uno dei protagonisti, Bosco, un musicista ormai distrutto e prossimo al pubblico suicidio: “Riempimi la vita di roba. Documentiamo ogni cazzo di umiliazione. Perché in fondo la realtà è questa, no? In vent’anni non diventi più bello, specie se nel frattempo ti hanno tolto metà dell’intestino. Il tempo è un bastardo, giusto? Non si dice così?”. Il tempo è un bastardo perché non conclude niente e consuma tutto, il tempo è quel mistero che si staglia sopra le nostre vite, in bilico nel nulla ed è dove siamo diretti, un mulinare di sentimenti ed emozioni superficiali come gli schermi digitali, monchi e ambigui come il linguaggio degli SMS che alimenta il finale, reportage dell’organizzazione e della celebrazione di un concerto in un futuro prossimo venturo, protagonista uno spiritato bluesman metropolitano. Coraggioso e imperfetto, Il tempo è un bastardo è romanzo che permette a Jennifer Egan di annodare la coda di un secolo con la cima di un altro e non è un mistero che siano il rock’n’roll e lo showbiz gli scenari e le cornici ricorrenti. Di tutti i fallimenti umani, rimangono i più brillanti.
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