Questa breve pièce o “romanzo in forma drammatica” è un caso più unico che raro nella storia di Cormac McCarthy, anche se in realtà con Sunset Limited era la seconda volta che scriveva per il teatro. Due personaggi, una stanza, fine. Fuori c’è New York, un treno che ormai è passato, un giorno che si sta spegnendo. Per una volta, Cormac McCarthy concentra tutto sul dialogo: è la scena, crea i personaggi, sviluppa la storia ed è sorprendente per un grande creatore di volti e movimenti. Ancora di più se si pensa che Sunset Limited è tutto meno che il frutto di un dialogo: la discussione tra i due protagonisti è un confronto che non prevede punti d’incontro. Sono opposti che si sono trovati per caso. Nero e bianco, credente (“Credere non è come non credere. Uno che crede alla fine arriva alla fonte della fede e non deve più cercare altro. Non c’è un altro. Ma chi non crede ha un problema. Si è messo in testa di sviscerare il mondo, ma ogni volta che becca una cosa falsa ce ne trova sotto altre due da spiegare”) e dubbioso (“Ci siamo nati, in un casino del genere. La sofferenza e il destino umano sono la stessa cosa. L’una è la descrizione dell’altro”), povero e agiato, grezzo e colto, luce e ombra si dividono un modesto vano di New York. Il nero ha trovato l’altro, il bianco, sulle rotaie in attesa dell’arrivo del Sunset Limited, un treno che non fa distinzioni. Lo salva dai propositi suicidi e lo porta nella sua umile dimora ma non riesce a scalfire la sua cupa visione della vita e del mondo. Seduti al tavolo della sua cucina discutono senza soluzioni di continuità, finendo uno le frasi dell’altro: un battibecco fitto, sincopato, dall’impostazione jazzistica come se i due, uno davanti all’altro, fossero in realtà le due facce di uno stesso pianeta. Anche gli unici due nomi citati nell’evoluzione della discussione sono lì a distinguerli. Uno definisce John Coltrane il più grande tra i compositori (si può anche essere d’accordo) e tornano a galla le parole che diceva a Nat Hentoff: “Voglio essere una forza del bene. In altre parole so che esistono forze del male, forze che arrecano sofferenza agli altri e miseria al mondo, ma io voglio essere una forza opposta. Io voglio essere la forza con la quale fare veramente del bene”. L’altro lascia scivolare il nome di Franz Kafka ed è inevitabile ricordare quell’esclamazione in cui sosteneva: “Quante fatiche per mantenersi in vita! Nessun monumento richiede un tale impiego di forze per essere eretto”. Non di meno, fatte salve le sue caratteristiche drammatiche, Sunset Limited apre una visione filosofica sull’esistenza e sulla fede, mettendo in risalto tutta l’impotenza e i limiti delle parole e del pensiero umano. Davanti a un piatto e a una tazza di caffé, l’imprevisto rendez-vous si risolve nell’amarezza finché il generoso ospite non chiede “a che servono idee del genere se poi non riescono a farti tenere i piedi incollati per terra quando arriva il Sunset Limited a centotrenta all’ora?”, ed è la domanda su cui cala, inevitabile, il sipario.
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