sabato 31 dicembre 2011

Tom Robbins

Anche se risale ormai a una ventina di anni fa, Beati come rane su una foglia di ninfea potrebbe essere stato scritto ieri o oggi: la crisi economica, le fluttuazioni degli indici, gli intrecci tra informazioni e emozioni determinano i tempi, i linguaggi, le visioni di un mondo instabile e ipersensibile in cui “tutti recitano. Siamo noi a pensare che si realtà”. E’ una cacofonia che Tom Robbins sviluppa in un vortice psichedelico, ma non è surreale Beati come rane su una foglia di ninfea, è bizzarro il modo in cui viviamo, che rimane ostaggio delle paure che alimentano “il caos controllato dei mercati finanziari, e quello assai meno prevedibile, delle strade”. Premesso Tom Robbins è anche profetico quando scrive che “ci saranno altri giorni, altri catastrofi, forse in un futuro quanto mai prossimo”, seguire le peripezie di Gwendalyn Mati, la volubile protagonista di Beati come rane su una foglia di ninfea vuol dire leggere attraverso la filigrana dei nostri tempi, schivando il riflesso dei cicli economici a cui affida la fortuna. Essendo una broker, con il sogno di pagarsi tutta la sua Porsche, l’illusione dei mercati azionari, una roulette dove vincono sempre i soliti, diventa il bersaglio dello sberleffo di Tom Robbins che non ci mette molto a spiegare cosa sta succedendo, a lei così come a tutti noi: “Ahimé, il denaro se ne sta andando. Sta lasciando l’America con tutta la velocità che le sue tozze gambe gli consentono. L’America che tanto lo amava. Ha già abbandonato i pigri e gli stupidi e ora sta per lasciare te”. Va da sé, poi, che Beati come rane su una foglia di ninfea si evolve seguendo vie misteriose e connessioni tutte da decifrare perché Tom Robbins è irriverente, sprezzante e caleidoscopico. Per quanto caotico, comunque, in Beati come rane su una foglia di ninfea emerge sempre un tono molto lucido e altrettanto polemico nei confronti dell’american dream e della natura stessa dell’America: “Per la verità l’America è sempre stata multiculturale, ma fino a tempi piuttosto recenti la nazione era un crogiolo simbolico in cui vari popoli venivano metaforicamente fusi per mescolarsi in una lega ricca, ed era quella fusione di talenti, filosofie, attributi e inclinazioni, rinnovabili e adattabili, a dare agli Stati Uniti il loro vigore e il loro sapore. Al giorno d’oggi, invece, sembra che pochi immigrati siano inclini ad assimilarsi. Portano con sé le loro culture natie, praticamente intatte, e a quelle si aggrappano, rifiutando perfino di imparare a parlare inglese e irritandosi quando le istituzioni sociali della loro patria adottiva non si rivolgono loro nelle lingue d’origine. Il che li tiene fuori dalla forza lavoro, naturalmente, e in uno stato di eterno vittimismo; lo stato egoistico di chi non fa che commiserarsi, insidiosamente sfruttato dai sinistroidi per i loro personali fini politici. Così, invece di un brodo denso e sostanzioso, l’America è divenuta una melma di piccoli grumi separati di sostanze indigeste”. Molto acuto, molto brillante, molto Tom Robbins.

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