lunedì 20 gennaio 2025

Paul Bowles

Tangeri: un capolinea, l’ultima spiaggia e nello stesso tempo un crocevia brulicante di vita, immerso nella pioggia e in una nube d’alcol. Nelson Dyar ci arriva da New York come un messaggio in bottiglia. Ha lasciato un posto in banca, fonte di sicurezza e di noia, ed è partito con la certezza che “non doveva sussistere un briciolo di dubbio. Una vita doveva possedere tutte le qualità della terra da cui derivava, più la consapevolezza di possederle”. Per lui, quando sbarca a Tangeri “il passato non si poteva ormai più richiamare, il futuro ancora non era iniziato”. Dovrebbe lavorare nell’agenzia di viaggi di Jack Wilcox, ma il condizionale è d’obbligo perché Nelson Dyar si lascia coinvolgere dalle fitte trame di Tangeri, che Paul Bowles delinea attraverso una concatenazione di frasi che, una dopo l’altra, evocano un destino imprevedibile. Per ogni incontro, Dyar tenta di collegare entità che vede vicine ma che sono distanti, se non contrastanti, provando “la sensazione di irrealtà era troppo forte, dentro di lui e intorno a lui. Acuta come un mal di denti, definita come l’odore dell’ammoniaca, e tuttavia impalpabile, inindividuabile, una grossa macchia sullo specchio della sua coscienza”. Tangeri diventa una bolla effervescente sul punto di esplodere ed è anche una palude dove si vende e si compra tutto: un commercio continuo in un labirinto di vie, scalinate, pertugi, albergi disadorni, bar affollati e fumosi in cui “credere o dubitare dipende dalla volontà di credere o dubitare”. Per tre quarti Lascia che accada (almeno finché lo scenario è Tangeri) è un continuo intersecarsi di appuntamenti ad alto tasso alcolico, dove Nelson Dyar non riesce a distinguere le opportunità dai rischi e si muove in un limbo in cui “ogni cosa avvenuta era troppo incredibile, ed egli la considerava con quella indefinibile, distaccata attenzione con cui si guardano le cose in sogno, quel genere di sogni in cui il più semplice oggetto, ogni movimento, persino la luce del cielo sono gravidi di un muto significato”. Questa specifica condizione, a metà strada, in transito e al limite, lo spinge a varcare una soglia invisibile e a trovare un’opzione per elevarsi e compiere quella decisiva trasformazione per cui ha attraversato l’Atlantico. Accetta un lavoro equivoco e poi uno strano incarico ancora più ambiguo. Trova un compagno e/o complice in Thami: anche lui come Dyar è un reietto, ripudiato dalla famiglia perché ha sposato la figlia di un pastore. I due si incrociano e Dyar vede in Thami la possibilità di lasciare Tangeri con una cospicua somma di denaro. Un colpo solo, e la partita è vinta. La traversata sul mare e il viaggio sulle alture delle scogliere è una delle parti migliori di Lascia che accada in cui Dyar si sente parte di un paesaggio impervio e maestoso, dove “la configurazione del suolo appariva come l’espressione di un dramma nascosto di cui doveva a ogni costo scoprire l’enigma”. In quel momento specifico, il passaggio dall’alcol al kif e all’hascisc genera una condizione ombrosa e pericolosa, che sfocerà in un finale inaspettato. Paul Bowles consente ai protagonisti di Lascia che accada di caracollare in libertà in cerca di qualcosa di indefinito, il più delle volte attratti da corrispondenze improbabili, in particolare verso i numerosi personaggi femminili, non accomodanti e spesso fulcro dell’azione: Eunice Good, intenta a “riempire le pagine dei suoi quaderni di parole, qualche volta persino di idee”, Daisy, madame Papconstante e la contesissima Hadija contribuiscono a sviluppare quell’atmosfera in cui “comunque si agisca, tanto l’individuo che il giorno vanno sempre a finire nell’oscurità” e a rendere Lascia che accada una torbida e irrisolta discesa nella dissoluzione.

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