Durham, North Carolina: un intero quartiere, Hayti, è scomparso sotto le colate di cemento di autostrade e di nuovi insediamenti. La gentrificazione ininterrotta e senza controllo (come si è visto poi in tutte le città, e non solo quelle americane) cancella intere epoche, ma “il passato non se ne sta mai al suo posto”, e torna a turbare il presente e il futuro. Il presupposto storico su cui si basa Black & White è concreto: la cancellazione della memoria non solo è destinata a difendere lo status quo, che (non dimentichiamolo) nello specifico comprendeva anche la segregazione. È anche un’erosione culturale senza ritorno. Ad Hayti, risuonavano nell’aria Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane, bianchi e neri ballavano insieme e la musica era un primo collante per la condivisione della lotta per i diritti civili, ma non era soltanto quello. È l’intera vita del quartiere che le infrastrutture, all’improvviso diventate indispensabili, sono andate a cancellare, come nota Lewis Shiner: “Il concetto stesso di progresso sembrava disperatamente ribaltato. Che senso aveva un luminoso futuro di cemento senza balli, senza parquet tagliato a mano e arcate in stile art déco?”. La domanda sottintende è la scintilla che muove Michael Cooper, il protagonista di Black & White, attanagliato da “una dolorosa nostalgia per un tempo e un luogo che non aveva mai conosciuto”. L’indagine per scoprire chi è davvero lo porta a ripercorrere un albero genealogico piuttosto intricato, una scelta dolorosa ma necessaria per comprendere i contorni della sua identità. Bugie e segreti non lo aiutano e nascondono il vero pericolo, quando “certe sensazioni dell’infanzia non ti abbandonano mai e sono sempre in agguato per quanto meno te l’aspetti”. Il confronto con il padre, ormai al crepuscolo, e la madre, lo portano ad aprire ampie finestre sul passato che sono altrettanti, corposi flashback in Black & White. Le contorsioni del romanzo hanno una logica nell’evidenziare le contraddizioni storiche, reali e non: Lewis Shiner ama attraversare le coordinate temporali e sapendo che “la narrazione è un’arma a doppio taglio” ed “è sempre, almeno in parte, una menzogna”, cerca di mantenere un difficile equilibrio nel corso della storia, almeno fino a quando la speranza si accompagnava alle canzoni, alla danza e in generale alla colonna sonora di un momento in cui certi segnali “erano tutti sintomi della stessa idea, l’idea che il cambiamento fosse possibile, che le cose potessero andare in modo diverso”. L’assassinio di Martin Luther King, nel 1968, traccia una linea brutale, e così in Black & White, come nella realtà, la vita diventa “precaria e rischiosa”. Lewis Shiner usa un tono molto sciolto, senza particolari pretese e apprezzabile nel saper gestire tutte le fratture orizzontali e verticali dell’America a cavallo di due secoli: tra vita cittadina e rurale, ricchi e poveri, uomini e donne, giovani e adulti. Il cardine resta il rapporto tra padre e figlio, quello più complicato e che contiene in sé tutta l’architettura di Black & White. Nel tormentato dialogo con i genitori, Michael Cooper ricostruisce così gli incontri con Denise Franklin, splendida femme fatale (e qualcosa di più, come si scoprirà), con l’attivista Barrett Howard e con Randy Fogg, un pericoloso estremista ed emblema della corruzione e della violenza che si celano dietro ogni alito razzista. D’altra parte, nell’evolversi di Hayti, l’alone del voodoo e della magia è una componente altrettanto importante, perché “i simboli sono cose potenti”, ma più di tutto è il destino di un’area, di una città e di una o più generazioni che vengono narrate in Black & White con il ritmo esplosivo di un thriller (comprensivo di colpi di scena ed effetti speciali), ma con una mano sulla coscienza e con una rara sensibilità per gli argomenti trattati e per il lettore. Di questi tempi, non è poco.
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