giovedì 26 luglio 2018

Philip Roth

Dieci anni dopo Pastorale americana, Philip Roth con Indignazione ricrea quella spaccatura, prima dentro la famiglia, poi nelle istituzioni e infine in tutta la nazione che è uno degli effetti collaterali della guerra che, proprio per la sua intrinseca natura, è una ferita che non guarisce mai e inghiotte tutto. La connessione tra la Corea e il Vietnam è immediata per quanto i connotati geopolitici siano e restino molto distanti. È però lo stesso il meccanismo che porta la divisione sul campo a riprodursi a casa, con l’arruolamento sospeso sulla testa come una spada di Damocle a un’intera generazione. C’è sempre una guerra ad aspettare i giovani riottosi, ma nel caso di Marcus Messner la catena dei conflitti comincia tra le mura domestiche. È solo una piccola scoria nel meccanismo degli ingranaggi che ruotano senza sosta nel nome della famiglia, della scuola, della religione, degli Stati Uniti d’America e infine dell’esercito. La sua natura, non di ribelle, ma solo non omologata, lo porta a pagarne le conseguenze. Philip Roth, al solito, è elegante, metodico e nello stesso tempo feroce nel far scattare i meccanismi a orologeria che compongono Indignazione. La reazione a catena comincia con l’attrito tra padre e figlio: Marcus ha lavorato fin da bambino nella macelleria dei genitori, è sempre stato uno studente scrupoloso e non ha mai dato un singolo pensiero ai genitori. Al momento di scegliere il college, però, decide di allontanarsi dall’apprensione del padre e si iscrive in un istituto a distanza di sicurezza dal New Jersey, a Winesburg, Ohio. L’omaggio a Sherwood Anderson è esplicito eppure sottile nell’introdurre lo sviluppo centrale di Indignazione, dove Marcus Messner deve scontrarsi con le tradizioni e le istituzioni e la monolitica simbiosi che rappresentano. Difficile immaginare che Philip Roth non abbia ricordato uno dei passaggi fondamentali che spiegano Il libro delle caricature, dove Sherwood Anderson ricorda che “c’erano la verità della verginità e la verità della passione, la verità della ricchezza e quella della povertà, della modestia e dello sperpero, dell’indifferenza e dell’entusiasmo. Centinaia e centinaia erano le verità, ed erano tutte meravigliose. Poi veniva la gente. Ognuno, appena compariva , si gettava su una delle verità e se ne impadroniva; alcuni, molto forti, arrivavano a possederne una dozzina contemporaneamente. Erano le verità che trasformavano la gente in caricature grottesche”. È proprio ciò che deve affrontare Marcus Messner: insofferente, si nega alle confraternite e si concentra solo sullo studio e sul lavoro. L’unico incontro di rilievo, in grado di modificare la stoica condotta è quello con Olivia Hutton che si presta a fargli un regalo inaspettato. È uno scatto su un terreno fin troppo conosciuto da Philip Roth e viene da un’urgenza dichiarata dallo stesso Marcus Messner: “Nonostante le pastoie delle rigide convenzioni che ancora dominavano il campus di un piccolo mediocre college del Midwest negli anni immediatamente posteriori alla seconda guerra mondiale, ero determinato ad avere un rapporto sessuale prima di morire”. La sorpresa di Oliva non si limiterà a quello, ma a quel punto il magnetismo tra causa ed effetto che determina Indignazione diventa prevedibile e un gradino dopo l’altro porta direttamente Marcus a uno scontro prolungato con il decano Caudwell. Marcus prima gli lascia una scia di vomito in ufficio, poi gli concede un addio non proprio conforme ai regolamenti accademici. Avendo citato Bertrand Russell nell’alterco con il decano, Marcus avrebbe dovuto sapere che “il mondo degli interessi istintivi è un piccolo mondo, e sorge in mezzo a un mondo grande e possente che presto o tardi lo ridurrà in rovine”. Il danno, ormai, è compiuto e dietro la porta sbattuta lo aspettano l’espulsione, lo zio Sam e la trincea del 38° parallelo da cui “sotto morfina” ci arriva la voce dolente di Indignazione.

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