giovedì 17 maggio 2018

Patti Smith

Patti Smith, “travolta da una vertigine inaspettata ma familiare, un’intensificazione dell’astratto, una rifrazione dell’aria mentale”, si lascia trasportare, più che dalla Devozione, da “un’antica percezione delle cose” che è l’ossessione originaria per la stagione infinita di Rimbaud e per i fantasmi di quella Parigi poetica e maudit, un po’ vera e un po’ immaginaria. Viaggia leggera, Patti Smith, cammina nelle città (e nella notte), con pochissimo bagaglio, piano piano, passando per Simone Weil, Jean Genet e Patrick Modiano alla continua ricerca di punti di riferimento, nel tempo e nello spazio, consapevole che “non avendo un passato, abbiamo solo il presente e il futuro. Piacerebbe a tutti credere che l’unico posto da cui veniamo siamo noi stessi, che ogni gesto sia solo nostro. Ma poi scopriamo di appartenere alla storia e al fato di una lunga serie di individui che potrebbero anche loro avere sperato di essere liberi”.   Prologo (Come funziona la mente) ed epilogo (Un sogno non è un sogno) sono appunti presi al caffè, spinta dall’idea che “dobbiamo scrivere, ma non senza un notevole sforzo e una dose di sacrificio: entrare in contatto con il futuro, rivisitare l’infanzia, e tenere salde le redini tra le follie e gli orrori dell’immaginazione per una palpitante corsa dei lettori”. È come se Patti Smith, tornando nella Ville Lumière, abbia mantenuto una promessa, saldato un debito e chiuso un cerchio, scoprendo che “il desiderio è il custode di se stesso”. La parte centrale di Devozione è lo sforzo più ambizioso della scrittura di Patti Smith, “una storia con il potere intrinseco del mito”. È il racconto delle gesta di Philadelphia alias Eugenia, pattinatrice, amante e assassina, che sembra “tutto scritto su un pezzo di vetro”. Per quanto leggiadra nella danza, la Devozione di Eugenia per la sua arte non le impedisce di riconoscerne la fragilità, a partire dalla natura friabile e limitata del ghiaccio su cui deve scivolare, per arrivare a considerare “cose che si sciolgono prima ancora di riuscire a diventare ricordi”. È sola ed è sopravvissuta perché i genitori sono stati deportati in Siberia (“Non serve una ragione per ammassare la gente come pecore”) e i suoi passi sono “emozione priva di emozione” fino all’incontro con Alexander. Incantato dall’eterea bellezza di Eugenia, l’enigmatico gentiluomo, che vaga con le viti e il grilletto di una pistola appesi al collo, diventerà l’altra metà di un legame ambiguo e pericoloso. A modo suo, il motivo centrale di Devozione si trasforma in una domanda ambivalente: “Quand’è che smette di essere una cosa bella, una cosa che riflette il cuore, e diventa decentrata, leggermente fuori asse, e poi di lancia in una voragine di ossessioni?”. È come se le mosse di Eugenia ricordassero a Patti Smith che “è questo il potere decisivo di un’opera singolare: una chiamata all’azione”. Scrivere diventa l’esigenza quotidiana, i motivi si scoprono e si inventano ogni volta: per “fare ciò che non era stato ancora fatto, reinventare lo spazio, fare piangere”, oppure “per isolarsi, proteggersi, perdersi nella solitudine, malgrado i desideri degli altri”, per coltivare il sogno di creare “qualcosa di bello, che sia migliore di me, e che giustifichi le mie tribolazioni e indiscrezioni”. Essendo Devozione il libro più colto, raffinato, acuto e romantico di Patti Smith che, per concedersi con generosità, narra molto degli altri, fino alla visita conclusiva (e definitiva) alla casa di Albert Camus. Merita di essere collocato proprio accanto alle Intuizioni delle sue riflessioni giovanili: “Queste fantasticherie sono nate da grandi sfinitezze. Rappresentano l’augurio di un’anima troppo mistica che chiede un oggetto per il suo fervore e la sua fede. Se a volte sono scoraggiate è perché nessuno ha voluto il loro entusiasmo. Se a volte sono negative, è perché nessuno ha voluto le loro affermazioni. Ma malgrado i ristagni, gli errori, le esitazioni e le stanchezze vi permane il fervore, pronto alle sovrumane comunioni e alle azioni impossibili”. Questa era la Devozione di Camus, ed è ancora quella di Patti Smith. 

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