sabato 11 luglio 2015

Ernest Hemingway

Quando il vecchio prende il mare in cerca più di fortuna che di pesca “era troppo semplice per chiedersi quando avesse raggiunto l'umiltà. Ma sapeva di averla raggiunta e sapeva che questo non era indecoroso e non comportava la perdita del vero orgoglio”. Il vecchio e il mare comincia proprio da lì, da quella profonda reciprocità con il suo protagonista e poi, scolpito frase per frase, detta i movimenti degli esseri umani e animali con onde regolari di linguaggio, quasi un battito cardiaco che sottolinea la storia, più che raccontarla. Il romanzo in sé rimane straordinario per la luce che Hemingway ha saputo cogliere, risparmiando le parole e moltiplicando gli sforzi per farci sentire lì, sulla barca di Santiago, indifesi e ostinati in mezzo al mare. L'odissea di Santiago è tutto: è metaforica, è simbolica, e nella sua essenzialità, è l'espressione della lotta per la sopravvivenza e insieme per la convivenza con “la bandiera di una sconfitta perenne”, dove la distinzione tra preda e predatore è invisibile. Nel tripudio di elementi naturali, dal sole al vento ai celenterati compresi in tutta la biologia marina, che conoscono soltanto la vita e la morte, l'inizio e la fine, Hemingway innesta l'elemento più umano, il fallimento, ovvero “che cosa sa fare un uomo e che cosa sopporta un uomo”. Come Santiago cerca la posizione e la direzione nella sua barca in mezzo all'oceano, Hemingway si orienta passo dopo passo e con Il vecchio e il mare trova e inquadra con sublime precisione nei dettagli, nell'atmosfera, nelle sensazioni trasmesse dalla sua scrittura quell'empatia per i personaggi che è la stessa per un concreto residuo di dignità. William Faulkner lo articolò in modo più elaborato nella sua recensione: “Finora i suoi uomini e donne si erano fatti, si erano formati con la stessa argilla; le loro vittorie e sconfitte erano nelle loro mani, soltanto per provare a se stessi fino a che punto potevano essere duri. Ma questa volta ha scritto sulla pietà: su qualcosa che da qualche parte li ha creati tutti, il vecchio che doveva catturare il pesce e poi perderlo, il pesce che doveva essere catturato e poi perduto, i pescecani che dovevano derubare il vecchio del suo pesce; li ha creati tutti e li ha amati e ha avuto pietà per tutti”. Non è solo il confronto tra Il vecchio e il mare. E' tutta una percezione della frugalità della vita, del tessuto di cicatrici che distingue la pelle, il volto di Santiago, dei giorni calcolati in funzione della fortuna (o, meglio, della sua assenza), persino un certo fatalismo di fronte all'insondabile voracità dei pescecani. L'abilità di Hemingway sta nello schierarci tutti stiamo dalla parte di Santiago mentre Santiago si identifica con il mare, con il pesce, con un cielo pieno di stelle, che per fortuna non dobbiamo cacciare. Un suo giovane ammiratore, Mark Sullivan, non senza una certa simpatia, l'ha definito “il prodotto di un geniaccio”, e la pratica definizione rende il merito a un narratore che con Il vecchio e il mare ha avuto il coraggio di scrivere come “il dolore non deve avere importanza per un uomo”. Non sono in molti, ad averlo detto.

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