Willy Vlautin

L’incipit di
Verso nord si snoda come il ritornello di una circus song ed è come se gli
acrobati interpretassero il precario equilibrio dell’esistenza di Allison
Johnson. L’altra indicazione strategica, prima della partenza, è il suono,
l’aspra atmosfera delle ballate country & western, da Hank Williams a
Johnny Cash (più di tutti), che sono la colonna sonora di un mondo white trash,
povero di idee, di soldi, di tutto, che Allison Johnson interpreta allo stremo
delle forze. Non è neanche una Motel Life, per ricordare il romanzo d’esordio di Willy Vlautin, perché la vita si
svolge nei parcheggi, nelle tavole calde, in camere ammobiliate con la
televisione onnipresente, dove si allinea una sterminata teoria di loser.
Allison beve fino a cadere svenuta e quando è sveglia, è preda degli attacchi
di panico e sempre sull’orlo del suicidio. Ha una svastica tatuata in fondo
alla schiena, senza sapere né perché né cosa significa, anche se
nell’iconografia di Verso nord
non è altro che l’ennesimo marchio della solitudine e della disperazione. Dopo
l’ennesimo crollo, e la scoperta di essere incinta, decide di abbandonare i
sobborghi di Las Vegas, compresi il residuo di famiglia che le rimane e Jimmy
Brodie, un fidanzato imbottito di speed. Nel viaggio Verso nord, Allison sembra sapere che “non c’è alcun posto in
cui non ci siano i mentecatti, la morte, la violenza, i cambiamenti, la gente
che arriva da fuori” e non dimentica, nemmeno quando non approda a Reno. E’ lì
che, pur lottando contro una moltitudine rimpianti (primo tra tutti, il figlio
dato in adozione), di fantasmi e di incubi, Allison riesce a fermarsi, a darsi
un minimo di linea di galleggiamento e a coltivare l’ambizione di un diploma.
Non è moltissimo, ma per una che nella vita ha fatto soltanto la cameriera sarebbe
già qualcosa in più di un premio di consolazione. D’altra parte il miglior
consiglio professionale che ha ricevuto è stato quando qualcuno gli ha detto:
“Dovresti fare la cameriera in un locale chic, così faresti un sacco di soldi”.
Per Willy Vlautin, Allison Johnson è una rabdomante che fruga nei bassifondi
della vita e il pregio maggiore della sua scrittura, come già l’avevamo sentito
nel songwriting per i Richmond Fontaine, è quello di seguirla senza
intromettersi troppo. Partendo da lei, i quarantacinque frammenti di cui è
composto Verso nord ricalcano il
disorientamento, il malessere, il dolore di un’umanità ingenua, fragile,
spezzata da troppe promesse e affondata in un fiume di alcol. La fuga, nella
speranza di cominciare da un’altra parte, è la possibilità sottintesa in ogni
frase scritta da Willy Vlautin, come se sulla strada ci fosse una risposta o
magari una promised land da raggiungere. Viaggiando Verso nord, si scopre invece che il luogo più ospitale per
Allison e per il suo occasionale compagno è il deserto e non c’è alcun
suggerimento metaforico nell’immagine composta da Willy Vlautin. Solo l’alone
di una luce fredda e crepuscolare e i filamenti della scrittura di un narratore
destinato ad andare lontano.
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