giovedì 27 settembre 2012

William Langewiesche

Quello che ogni volta sorprende, con William Langewiesche, è sempre la sua scrittura: essenziale, limpida e precisa. Anche per spiegare un fenomeno complesso come il volo, William Langewiesche usa frasi ridotte al minimo indispensabile, molti esempi, semplici metafore, case history che durano nei casi più eclatanti una pagina intera. Lo svolgimento del discorso è sciolto con un facilità estrema: a tratti si ha l’impressione che potrebbe scrivere di qualsiasi argomento (come in effetti fa) perché è comunque più interessato alla forma, alla sua presentazione, per non dire al lettore, piuttosto che al contenuto in sé. In realtà la chiarezza del suo stile collima alla perfezione con le esigenze, spesso caotiche, dei temi che tratta. Non è uno scrittore che cerca costruzioni immaginifiche o soluzioni spettacolari: la sua natura, il suo stesso mestiere di reporter, lo portano a stringere e a focalizzare sull’obiettivo, per cui se deve spiegare qualcosa lo fa pulendo e asciugando, come se volesse rendersi il più trasparente possibile. La virata, più che in altre occasioni, è la testimonianza di questo savoir faire, un po’ perché William Langewiesche attinge a fonti autobiografiche e famigliari (proviene da una famiglia di piloti e lui stesso è stato istruttore di volo) e un po’ perché stare con la testa tra le nuvole è un’arte più che una missione. La virata segue una rapida sintesi della storia del volo e già nella battute iniziali, William Langewiesche celebra un mistero affascinante e impenetrabile: “L’aereo è un mezzo talmente semplice che a volte viene da pensare che sia stato scoperto, anziché inventato. Il profilo dell’ala è una delle forme più perfette che esistano in natura. E la nostra specie ha imparato a servirsene molto prima di coglierne anche solo le caratteristiche di base”. Poi, ricordando le difficoltà implicite nel governare un aereo, a partire dall’orientamento in un’era in cui gli strumenti di bordo erano rarefatti o del tutto inesistenti, racconta con una serie di aneddoti le delicate questioni legate al volo. Molto interessante il calembour legato alla prima applicazione militare del volo, durante la prima guerra mondiale: “I piloti tedeschi chiamavano le condizioni ottimali, in cui si volava, tempo da aviazione, e quelle avverse, tempo da aviatore, nel senso che si poteva rimanere a letto, anche perché, grazie a un circolo virtuoso, volare senza vedere nulla non aveva senso”. Poi sarebbe arrivata l’era in cui si può volare con ogni tempo e William Langewiesche dice che “La vera storia del volo umano è tutta qui. I fratelli Montgolfier ci hanno regalato il pallone, introducendoci al singolare egotismo del volo. I fratelli Wright ci hanno dato le ali, mettendoci di fronte all’enigma della virata”. L’unica precisazione, un piccolo dettaglio scientifico che a William Langewiesche sfugge nella foga dell’incipit, è che sarebbe pù corretto definire l’aria come un fluido, e non un gas, perché se non fosse così non solo non esisterebbe La virata, ma non volerebbe niente e nessuno.

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