mercoledì 3 agosto 2011

Walter Mosley

Nell’ultimo capitolo dedicato a Easy Rawlins, Walter Mosley sembra mettere a fuoco in modo definitivo una struttura di romanzo che attinge al noir soltanto per ritrarre la realtà con accenti marcati, senza peli sulla lingua. Come capita ai grandi scrittori gli basta un personaggio: Easy Rawlins è uno di quei loser che a riprese regolari vorrebbe lasciare la vita di strada, stanco di finire, volente o nolente, a fare l’eroe. Prima di trovarsi tra i piedi Un piccolo cane giallo  ci è quasi riuscito: è diventato il custode di una scuola, ha chiuso con la bottiglia e pensa ogni singolo momento della giornata al futuro dei suoi due figli. Più di così non potrà mai fare ed è ovvio che non saranno questi i presupposti perché Walter Mosley possa aggiungere un capitolo alla sua saga nera e noir e infatti gli recapitano un cadavere direttamente sul posto di lavoro. Con il curriculum che si ritrova, il primo ad essere indiziato dell'omicidio è proprio lui, il buon Easy Rawlins: la via d'uscita, che poi è un classico cliché del noir, la dovrà trovare da solo ricostruendo pazientemente un mosaico con mille frammenti emersi dal passato. E’ nota la dedizione di Walter Mosley alla causa della memoria e Un piccolo cane giallo riporta con una certa frequenza Easy Rawlins indietro ed è naturale: il noir è qualcosa in più di un colore letterario tanto per Easy Rawlins quanto per il suo autore. Il ricordo di una ferita, di una divisione e di battaglie che ancora dovevano essere combattute sono ricordate da Walter Mosley che tra le righe di Un piccolo cane giallo scrive con una sana vena polemica: “A quell’epoca bisognava ammazzare un bianco per fare notizia. Però gli stranieri di colore finivano sui giornali. Proprio quel giorno i congolesi avevano arrestato due russi per spionaggio, e cinquecento haitiani erano morti in un’inondazione. Per la stampa bianca, e per molti americani bianchi, era più facile vedere i neri come stranieri esotici, come un popolo lontano. Ma le vite dei neri americani passavano sotto silenzio”. La rivendicazione è qualcosa di più complesso che comincia nella notte dei tempi (“Se ti tormentano abbastanza a lungo diventi colpevole di qualsiasi delitto”) ed è raccontata da Walter Mosley in La musica del diavolo: è da quando i primi canti cominciarono a levarsi come fantasmi che gli afroamericani aspettano. Un blues lungo due secoli che Un piccolo cane giallo aggiorna ai ritmi del rap, scegliendo tra gli slang dei ghetti e delle strade la lingua più consona e realistica da attribuire a Easy Rawlins. Tra una battuta da veri duri (“Stetz era come un gatto dietro a una finestra: immobile prima di spiccare un salto; io ero l'uccello sul davanzale: speravo nel vetro”), le efficaci descrizioni dei quartieri di Los Angeles e i dialoghi che scattano come coltelli a serramanico Un piccolo cane giallo scorre furioso in cerca di una giustizia che, in modo nemmeno tanto velato, non è riferita soltanto al caso specifico di Easy Rawlins. C’è tutto un popolo nella sua storia. 

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