venerdì 21 maggio 2010

Jim Carroll


Una beffarda e simbolica ironia del destino ha voluto che Jim Carroll, dopo aver vissuto una vita sul filo del rasoio, abbia incontrato la morte, con cui ha danzato a lungo a distanza ravvicinata, tra le mura della casa di famiglia, dove era stato (troppo poco) bambino. Era l’11 settembre dell’anno scorso, la data giusta per andarsene per uno dei più grandi anfitrioni di New York. C’è voluto del coraggio per F.T. Sandman alias Federico Traversa e per i suoi compari alla Chinaski per inventarsi una biografia di Jim Carroll. Con tutti i pregi (ad oggi è l’unica esistente, tra l’altro) e qualche fisiologico difetto (alcuni refusi e piccole mancanze, niente di grave), il libro è un atto d’amore per un grande poeta, l’indimenticabile leader della Jim Carroll Band (fosse soltanto per la breve e fulminante stagione tra il fondamentale Catholic Boy e il visionario Dry Dreams), il ragazzo di strada, il junkie, il principe del Dirty Blvd e il re del Chelsea hotel. La ricostruzione è avvincente perché F.T. Sandman si concede solo pochi attimi del tutto personali e poi lascia che a raccontare la storia siano le voci del diretto interessato e del suo inner circle: Lenny Kaye, Lou Reed, Patti Smith, i membri della Jim Carroll Band (Jon Tiven, Paul Sanchez, Wayne Woods, Steve Linsley) e molti altri costituiscono un coro di impressioni, aneddoti, trame e ritratti che alla fine forma un puzzle molto dettagliato. In cui non manca niente: il giovanissimo Jim Carrroll (“L’unico momento in cui senti davvero di avere il cuore libero è quando sei giovane, per la strada, perché solo allora eri selvaggio, libero e assassino”) diviso tra poesia, basket, droga e prostituzione che viaggia nei bassifondi di New York; l’artista acclamato e amato (“Il miglior poeta della sua generazione” secondo Patti Smith) che svolta verso nel rock’n’roll (“Qualunque poeta, mettendo da parte il rispetto per il proprio pubblico, potrebbe diventare una rockstar”) e per intercessione dei Rolling Stones (di Keith Richards in particolare; all’epoca Mick Jagger gli preferiva Peter Tosh) arriva a firmare quello straordinario e delirante bassorilievo metropolitano che è Catholic Boy. E’ il 1980 ed è il momento più importante della sua storia, salvo la riscoperta seguita al film The Basketball Diaries, quindici anni fa, ispirata ai suoi “diari del basket” (come vuole la traduzione italiana), ma il libro non nasconde nulla e racconta, pur con un certo tatto, la lunga e dolorosa parabola di un tossicodipendente che non è mai sceso a patti con la vita quotidiana e l’istinto di sopravvivenza. Colpisce, a spiegare la lunga teoria di usi e abusi chimici, una frase di Jim Carroll: “Il solo brutto sogno per me è quando la realtà arriva nella mia stanza e quando mi sveglio non so cosa sia reale e cosa no”. E’ stato il Rimbaud del ventesimo secolo: non ha avuto l’Africa, ma il rock’n’roll che è anche più selvaggio. Nelle appendici, i ragazzi della Chinaski non fanno mancare niente: bibliografia, discografia, filmografia indice dei nomi, tutte le fonti consultate e saccheggiate e anche un piccola dedica di F.T. Sandman che finisce così: “Spari le tue parole in cima, razzi sonori, verso stelle scintillanti, e poi oltre, a portare suono, dove non c’è suono”. Un omaggio sentito, toccante e con tutta una sua unicità.

1 commento:

  1. "Non puoi tornare a casa"...“L’unico momento in cui senti davvero di avere il cuo libero è quando sei giovane, per la strada, perché solo allora eri selvaggio, libero e assassino”: questa è una delle verità più dolorose da accettare...

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