Gli
americani
interpretati da Robert Frank sono inquadrati nel contesto di un
paesaggio mutevole, che ha come sfondo principale la, “strada
folle che spinge gli uomini ad andare avanti, la folle strada,
solitaria, che ti fa uscire di testa e ti rivela squarci di spazio
verso l’orizzonte”, e
non potrebbe essere diversamente vista l’associazione, spontanea e naturale, con Jack
Kerouac, la cui presenza vale molto più della breve introduzione.
C’è lo stesso, appassionato lirismo nelle fotografie di Robert
Frank, c’è lo stesso afflato ideale, verso “quella folle
sensazione in America” più che verso una dimensione reale: Gli
americani è un
capitolo visivo di un'epopea intraprendente ed entusiasta, non è un classico libro
di fotografia. Quelle di Robert Frank non sono riprese canoniche,
ordinate e/o corrette, dal punto di vista geometrico, o
dell’esposizione, o del taglio. Non hanno didascalie, indicazioni o istruzioni
per l’uso. Sono il frutto di una visione non allineata, non omologata, non consolatoria, ed è per questo Gli
americani venne
pubblicato prima in Francia, con il titolo Les
américains,
perché ritenuto troppo scomodo. E' una collezione di ritratti
immediati, dove il bianco e il nero garantiscono tutta la prospettiva
minima e indispensabile. Le immagini pagano un debito di riconoscenza
nei confronti di Walker Evans e hanno tutta una loro consistenza
perché sono più “le parole del poeta”, come diceva Robert
Frank. Un richiamo sensibile da cui Jack Kerouac non poteva esimersi di rispondere: “Chi non ama queste
immagini, non ama la poesia, capito? Se non ami la poesia, va’ a
casa e guarda la TV con i cowboy col cappello da cowboy e i poveri
cavalli gentili che li sopportano. Robert Frank, svizzero, discreto,
carino, con quella sua piccola macchina fotografica che tira su e fa
scattare con una mano, ha estratto una poesia triste dal cuore
dell’America e l’ha fissata sulla pellicola, così è entrato a
fare parte della compagnia dei grandi poeti tragici del mondo. A
Robert Frank adesso mando questo messaggio: tu sai vedere. E dico:
quella ragazzina ascensorista tutta sola che guarda in su e sospira
in un ascensore pieno di demoni confusi, come si chiama? Dove
abita?”, e sono quelle le domande che valgono per tutti Gli
americani. I ballerini e il cowboy a New
York, i bianchi al ristorante e i neri al funerale, le croci e le
stars and stripes (ovunque), i cartelli e le insegne, le attese, le partenze e
gli arrivi, le folle e le solitudini, come se a Edward Hopper
avessero dato una macchina fotografica e tolto i colori. Ha ragione Robert Frank quando diceche “il genio
dell’artista consiste nel guardare il mondo che condivide con noi”,
solo che la sorpresa nel rileggere Gli americani è il fascino di
quello che rimane in sospeso, nascosto, misterioso, benzina per
l’immaginazione, quell’atmosfera del jukebox all’idrogeno e
dell’incubo ad aria condizionata che l’introduzione di Jack
Kerouac suggeriva, lasciando spazio a intere praterie per
l’interpretazione: “Non avevo mai
pensato che fosse possibile fissare tutto questo sulla pellicola e
ancora meno che le parole potessero descriverne la meravigliosa
complessità”. Con Gli americani, sulla strada, succedono entrambe le cose.
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