giovedì 1 giugno 2017

Patti Smith

Il sogno raccontato nel verso iniziale di People Have The Power, la prima canzone di Dream Of Life, assumerà forme diverse e fluttuando nel corso del tempo, segnerà le tappe della parabola di Patti Smith cominciata sul finire del ventesimo secolo. Come il riflesso di uno di quei momenti che paiono non finire mai, l’idea di Dream Of Life appare per la prima volta proprio con l’omonimo disco del 1988, un album che riportava Patti Smith alla vita pubblica, dopo un esilio volontario di (quasi) dieci anni. Quando quel titolo riappare, nella forma del film di Steven Sebring, le immagini rincorrono un altro comeback, quello del 1996, quando Patti Smith è tornata sui palchi con il suo gruppo, ripresa nel corso del tour. Una costellazione di ricordi che brilla per il senso del movimento, il rock’n’roll e la vita on the road, il cameratismo e la fatica, le Stratocaster strapazzate senza pietà e le Polaroid conservate con cura, i piedi nudi e gli stivali. Un album del passato e un diario del presente, che nel libro viene scarnificato e sublimato nelll’immobilità degli scatti, spesso sfocati, indefiniti, prodotti da strane geometrie come se, più che fissare un tempo, Patti Smith avesse voluto collocare una prospettiva. Ogni angolo diventa luogo d’elezione per un simbolo, un rituale, una magia: il palco e il backstage, l’arte a New York e la famiglia a Detroit, la strada e l’oceano, ogni attimo è quello buono per intercettare quella singola scintilla, quel “qualcosa di diverso” che Patti Smith ha sempre sentito, ammirato e inseguito. Tutto un immaginario che si autoalimenta e che si riproduce senza soluzione di continuità, con le fotografie che diventano un collage labirintico, complicato, più che descritto, dalle brevi didascalie di Patti Smith. Alla fine, Dream Of Life rimane fedele al suo titolo paradossale: le istantanee in bianco e nero, i ritratti a colori, gli schizzi e gli appunti scorrono in un flusso di coscienza fatto di immagini, più che di parole, una sorta di confessione visiva che si evolve nella declinazione di un paesaggio interiore. Patti Smith racconta che “qui, proprio dentro di me, ho trovato un luogo incantato, solo perché si è lasciato trovare”, frutto dell’osservazione costante, di una curiosità indomita, fonte principale quella che chiama “la gioia di avanzare lungo un processo di scoperta”. In parallelo scorre costante, come sarà determinante negli anni successivi fino a oggi, l’idea dell’omaggio e della gratitudine a mentori, ispiratori, complici, eroi: Robert Mapplethorpe, Bob Dylan, Jackson Pollock, Lenny Kaye, Allen Ginsberg, Harry Smith, William Blake, Michael Stipe, Philip Glass, i genitori, i figli e il marito, Fred Sonic Smith immortalato ancora, fino all’ultimo, nel frontespizio finale. In questo senso, Dream Of Life termina la “missione” cominciata dalla canzone e dal disco e proseguita attraverso il documentario di Steven Sebring: tra un’onda e l’altra, in mezzo c’è il sogno di una vita trascorsa a rincorrere un ideale di bellezza.

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