mercoledì 1 aprile 2015

Richard Yates

Sotto una buona stella è un romanzo pervaso da una specie di schizofrenia, che non lo molla fino alla fine. E’ l’incomunicabilità, un tema ricorrente con Richard Yates, ma che in Sotto una buona stella sembra pesare sulla trama. E’ quella che assilla Alice Prentice, artista frustrata che passa da un appartamento all’altro, da una casa all’altra, attraverso indefiniti love affair, destinati a conclusioni non decorose. E’ la stessa incapacità di comprendersi che divide Alice e suo figlio, Bobby, vittima di troppi traslochi e di troppi sconosciuti piombati nella sua vita senza preavviso. Infine, è la solitudine di Bobby sul teatro europeo, verso la fine della seconda guerra mondiale. I grugniti dei commilitoni, lo svolgersi repentino, confuso e feroce dei combattimenti, e nell’insieme, l’inutilità del tentativo di regolare i conti con se stesso, con il passato, con l’ossessione della madre finiscono in niente. Ci sono due libri in Sotto una buona stella e la convivenza non è sempre coerente, proprio come quella tra Alice e Bobby. La Suburban War come recita a proposito la canzone degli Arcade Fire di The Suburbs, vede protagonista la madre, con e senza figlio, e lì Richard Yates si ritrova nel suo milieu. Le strade cambiano i contorni delle città, aprendo nuovi fronti e inediti confini attorno ai quartieri e alimentano quell’atmosfera di alienazione in cui  “i treni elettrici portavano via gli uomini verso la città ogni mattina e i bambini erano inghiottiti dalla scuola. Le donne, sole nelle loro grandi case impeccabili, lasciavano trascorrere le giornate in una serie infinita di banalità”. La guerra sulla frontiera tra Francia e Germania è differente, va da sé, ma il senso di disorientamento è sempre lo stesso, visto che Bobby la percepisce così: “E continuarono ad avanzare faticosamente su per le strade del paese, ripide e con le bandiere bianche appese alle finestre, guardando avanti verso il punto in cui sorgeva la collina nuda e bruna nel sole pomeridiano. Niente sembrava reale”. L’effetto straniante deve avere coinvolto anche Richard Yates: nelle sue cronache dalle trincee europee, in un passaggio confonde la FlaK, ovvero la contraerea tedesca, con la corrispettiva americana. Il lapsus è relativo e rivelatorio insieme, visto che introduce, poche pagine dopo, un lacerante episodio di fuoco amico. Il dettaglio, sfuggente, lascia la sensazione che Sotto una buona stella ondeggi in cerca di un equilibrio dentro un conflitto irrimediabile. Le circostanze sono contorte e la migliore interpretazione è ancora quella di Richard Yates: “A volte nei sogni appaiono visioni del passato. Per questo motivo Alice Prentice aveva sempre accolto il sonno con piacere, ma da insonne aveva il terrore dei momenti che precedevano il sonno, l’atto stesso di addormentarsi, il rischioso crepuscolo di semicoscienza in cui la mente fa fatica a mantenere la coerenza, quando una sirena o un grido giù in strada è il suono vero e proprio del terrore e il ticchettio dell’orologio è un costante promemoria della morte”. Ci si arriva per gradi, arrancando tra un saliente e l’altro, senza soluzione, se non un malinconico finale scritto su una cartolina.

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