Trasformato
in un simpatico, curvilineo ed enorme seno, David Kepesh, uno dei più
voluttuosi alter ego di Philip Roth, si ritrova a guardare il mondo e
la vita da “quella prospettiva da cui ogni cosa appare terrificante
e misteriosa. Rifletti sull'eternità, considera, se ne sei capace,
l'oblio, e tutto diventa un portento”. La percezione, imbrigliato
su un'amaca e accudito da un discreto tran tran di particolarissime
visite, è proprio quella ed è l'introduzione perfetta a un
racconto grottesco, dove l'elemento eccentrico, giocoso, irriverente
su cui si appoggia Il
seno
si evolve per gradi in una più acuta e tagliente riflessione sulla
letteratura, che parte proprio da lì, dal ridicolo e dal
paradossale, perché come dice David Kepesh alias Philip Roth “anche
se può sembrare tanto alla moda, grazioso e deliziosamente punitivo,
mi rifiuto di credere che sono quel che sono perché quel che sono è
ciò che ho voluto essere. La realtà è più grandiosa. La realtà
ha più stile”. La fantasmagorica mutazione si può ridurre a una
parodia della Metamorfosi
kafkiana (e questo è il primo e più esplicito impatto) o, restando
in superficie, si può leggere come una specie di surreale New
York Story
di Woody Allen, uno scenario comico, senza per questo limitarne il
valore. Inciso dal bisturi affilato della scrittura di Philip Roth,
sotto Il
seno c'è
molto di più, e viene svelato nella sfumatura finale.
Nell'ossessione per il corpo (e per il sesso, va da sé) si genera un
tributo agli stati di alterazione che provocano i capolavori
letterari. La struttura del racconto è lineare, plastica, diretta e
a David Kepesh non sfugge alcun particolare dalla sua inedita
posizione di mutilato. L'immobilità lo spinge, oltre a concedersi
(con insistenza, e non senza una certa ilarità) la ricerca del
piacere epidermico, a concentrarsi sull'altra ipotesi, che la sua
nuova, nuda e cruda condizione sia una proiezione psichica dovuta
all'esposizione continua, assidua, appassionata alle radiazioni di
Robert Musil e Fëdor
Dostoevskij e Shakespeare (più di tutti), nonché dai turbamenti
provocati dall'amore infinito per Il
naso
(Gogol'), per I
viaggi di Gulliver (Swift)
o per Rainer Maria Rilke, scelto per la sublime chiusura. Assediato
da tutte queste creature, David Kepesh cerca, non senza fatica,
una“melanconico equilibrio”, e sorge spontanea l'empatia per le
sembianze che ha assunto in un modo o nell'altro.Anche, a maggior
ragione, per Philip
Roth e, non a caso, è proprio lui, alla fine, a suggerire che Il
seno
si può interpretare con una certa chiarezza: “Questa non è una
tragedia come non è una farsa. E' soltanto la vita, e io sono
soltanto umano”. Detto da una mammella adagiata
nell'incomprensibilità della sua natura appare una contraddizione ed
è lì che invece Il
seno
prende una forma compiuta, quando David Kepesh si rende conto che,
attraverso il suo unico capezzolo, potrebbe fare impazzire il mondo.
E' sempre l'oggetto del desiderio, e il desiderio stesso. I Beatles e
i Rolling Stones ci sono riusciti con molto meno, e senza la tette.
Nessun commento:
Posta un commento