Nominato comandante delle
forze armate americane in Afghanistan nel giugno del 2009, il
generale Stan McChrystal sa che concetti di vittoria o di sconfitta
sono ormai diventati relativi. C’è bisogno di movimento, di
costruire dottrine, di scrivere libri, di difendere le teorie più
che gli avamposti. “Queste guerre che stiamo combattendo sono così
vecchie, così morte”, diceva Don DeLillo e le armi sul terreno di
battaglia non bastano più: i fronti si sono moltiplicati e bisogna
considerare le idee, la politica, la diplomazia, la comunicazione,
più di tutto. Non è chiaro per quale strategia o azzardo, forse
perché l’apparato militare si affida sempre più spesso a
strateghi civili e ne segue i consigli, ma lo staff del generale
McChrystal chiede e ottiene di essere seguito da un inviato di
Rolling Stone. Le vie delle pubbliche relazioni sono infinite e
misteriose e a Michael Hastings, poco più di vent’anni, vengono
accordati confidenza e libero accesso. Michael Hastings non è uno
sprovveduto e non è nemmeno un neofita delle zone di guerra, anche
se resta molto riluttante ogni volta che si deve imbarcare per quelle
destinazioni, eppure con il team di Stan McChrystal e con lo stesso
generale, succede qualcosa: si lasciano andare. I motivi sono da
cercare forse nella natura di considerarsi (forze) speciali, il
sentirsi esclusivi in una missione impossibile, visto che “il mondo
era in crisi, i confini dell’impero sotto tiro e grondanti di
sangue, ma alla fine saremmo riusciti a risolvere tutto”. Michael
Hastings segue Stan McChrystal e il suo entourage a Kabul, Parigi,
Berlino, Washington e si ritrova nel ventre della bestia, in una
bolla di potere, impenetrabile, asfissiante, deformante che ha il suo
apogeo nella farsa e/o tragedia delle elezioni afghane. La guerra
resta sullo sfondo, e quando irrompe è straziante, ma Michael
Hastings concentra tutta l’attenzione sulle dinamiche dei guerrieri
del ventunesimo secolo che “per portare a compimento la missione e
proteggere il loro branco, si trattasse di divulgare alla stampa
informazioni riservate o costringere un presidente a prendere un
provvedimento indesiderato, avrebbero considerato accettabile ogni
violenza, ogni atrocità e ogni azione che fosse stata loro chiesta o
si fossero sentiti obbligati a compiere”. Michael Hastings questo
lo spiega bene in un articolo perfetto, raccontando le distorsioni
della realtà, le lunghe ore di volo, la noia e l’alcol, gli
intrighi, tutto “un castello di parole”, dal presidente in giù,
in “un ambiente in cui cazzo, merda e stronzi figli di puttana
erano considerati alla stregua di congiunzioni”. Il suo punto di
osservazione era uno dei più privilegiati: era sì, embedded, come
tanti altri, ma in qualche modo sfuggiva alle regole e come è noto,
l’articolo (perfetto) costò la carriera al generale Stan
McChrystal, perché “la merda e la cattiva pubblicità rotolavano
sempre verso il basso lungo la scala gerarchica”, ma a distanza di
qualche anno il punto è un altro. Quell’articolo, espanso fino ad
assumere le dimensioni di un libro, pur mantenendo intatta la forza
iniziale, con qualche riempitivo di troppo e qualche ripetizione,
racconta la confusione, gli aspetti surreali, le distorsioni, più di
tutto, l’uso spregiudicato degli strumenti di comunicazione per
influenzare le decisioni a tutti i livelli, tutto per “scuotere il
sistema, attirare più attenzione possibile, niente mezze misure”.
Il paradosso è che Michael Hastings ha raccontato la verità,
pensando di avere fatto “soltanto” il suo lavoro, ma è difficile
credere che si considerasse così ingenuo, visto che è stato
autentico laddove ogni altro tentativo è votato a mistificare,
modellare, trasformare, assecondare altre realtà. Sa di essere
“colpevole di avere infranto una regola non scritta molto semplice:
mai essere onesti quando si scrive dei potenti, soprattutto di quei
personaggi che i media ritengono intoccabili”. Detto altrimenti,
nel gergo in uso sulla rotta tra Kabul e Washington: “I miti non
dovevano essere abbattuti. Io invece avevo mandato tutto a puttane”,
e su questo, sì, non c’è dubbio.
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