domenica 27 marzo 2016

Truman Capote

Per Natale, Buddy deve partire dall’Alabama per raggiungere suo padre a New Orleans. La madre è altrove, l’ultima destinazione era New York, e si lascia alle spalle l’amicizia con Miss Sook Faulk, a cui Truman Capote dedicherà tra l’altro L’arpa d’erba. Il racconto di Un Natale attraversa e incrocia l’incanto e l’amarezza con il ritmo tambureggiante di quattro quarti sincopati che si susseguono e si incastrano alla perfezione con tutte le coordinate del classico, lirico e immediato nello stesso tempo, limpido, preciso e tagliente nel tracciare il segmento percorso da Buddy, che non è soltanto la distanza che lo separa da Miss Sook Faulk. Anche se è evidente che la differenza geografica è una ferita lancinante: “Era una vera tortura farsi trascinare qua e là per le strade di New Orleans con quelle scarpe con i lacci stretti, calde come l’inferno, pesanti come il piombo. Non so dire cosa fosse peggio, se le scarpe o il cibo. A casa ero abituato al pollo fritto e ai cavoli ricci e ai fagioli americani e al pane di meliga e ad altre cose buone. Ma i ristoranti di New Orleans! Non dimenticherò mai la mia prima ostrica, fu come se mi scivolasse in gola un brutto sogno”. Quello che Buddy apprezza è soltanto il modello di un aeroplano visto in un negozio su Canal Street, ma Babbo Natale non lo può sapere. Nella festa della vigilia dove si sviluppa il secondo quarto, la distanza con i riti degli adulti, il padre per primo, diventa incolmabile perché Buddy pensa di scoprire la verità: non esiste Babbo Natale, anche se la mattina aprirà i suoi regali, preludio alla straziante scena della partenza per tornare in Alabama. Come ha cominciato il racconto Miss Sook Faulk riappare nel finale, a concludere spiegando un’altra verità a Buddy, o almeno la sua versione, così, come un’ultima postilla. Un Natale, che risale all’epoca di Colazione da Tiffany, è una svolta anche nella scrittura di Truman Capote alla chiusura di un ciclo fondamentale nella formazione del suo stile, come scriveva nella prefazione di Musica per camaleonti: “Durante quei dieci anni sperimentai quasi ogni forma di scrittura, sforzandomi di acquisire tecniche diverse, di raggiungere un virtuosismo tecnico resistente e flessibile come la rete di un pescatore. Naturalmente fallii in molti dei campi invasi, ma è vero che si apprende più da un fallimento che da un successo”. Miss Sook Faulk torna anche per Il giorno del ringraziamento e per quanto di formazione eterogenea, i racconti gravitano attorno alla twilight zone dell’adolescenza, come poi in diventa evidente in Il mio punto di vista. Lo stupore resta anche negli altri casi, che coltivano la terra di nessuno tra realtà e finzione perché, come scrive in Padron Miseria, “i sogni, per la maggior parte, cominciano perché ci sono delle furie dentro di noi, furie che picchiano perché vengano aperte le porte”. O, a maggior ragione in Il falco senza testa: “Vi sono lavori d’arte che destano interesse più per i loro autori che per il loro stesso significato, di solito perché in opere di questo genere si riesce a identificare qualcosa che fino a quel momento sembrava una sensazione personale, inesprimibile, e ci si chiede, chi è costui che ci conosce, e come fa?”, e questa resta la domanda principale, forse l’unica, davanti a un grande scrittore.

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