martedì 15 marzo 2016

Francis Scott Fitzgerald

Francis Scott Fitzgerald ha sempre avuto un rapporto ambivalente con il racconto. Da una parte gli offriva la stessa, intensa dedizione che distingue la sua scrittura, non un grammo di passione in meno. Diceva in una lettera al suo agente, Harold Ober, nel 1935: “Ogni mio racconto è concepito come un romanzo, e si basa su una particolare emozione, su una particolare esperienza”. Altrimenti la considerazione dei racconti era più strumentale e, nella corrispondenza con Max Perkins, arrivava a definirli “intervalli di spazzatura”, tra un romanzo e l'altro. Gli eccessi sono propri dello stile e della vita di Francis Scott Fitzgerald e forse un minimo di verità lo si legge in filigrana a quello che scrive a proposito di Pomeriggio di un autore, in conclusione alla bella e organizzatissima selezione di Racconti: “Il problema era un racconto per una rivista: al centro era diventato così sottile da essere sul punto di volare via. La trama era come salire scale infinite: lui non aveva in serbo nessun fattore sorpresa, e i personaggi partiti con passo ardito l'altro ieri, non avrebbero potuto andar bene nemmeno per un feuilleton”. Eppure sono proprio loro, i protagonisti dei Racconti a sgusciare fuori dalle pagine, a risaltare con un'urgenza sorprendente, anche se ormai sono poco più che fantasmi perché come scriveva in Amore caro “le cose cambiano al punto che facciamo fatica a riconoscerle e sembra che solo i nostri nomi restino uguali”. Succede, per esempio, ai Kelly, i protagonisti di Un viaggio all'estero: giovani, ricchi, annoiati, belli e dannati, viaggiano dall'Africa all'Europa e, neanche a dirlo, la destinazione è la Costa Azzurra, anche se sono stati avvisati che “l'unica cosa che conta è chi c'è. Un nuovo paesaggio è bello per mezz'ora, ma poi ti viene voglia di vedere i tuoi simili. Ecco perché certi posti vanno di gran moda; poi la moda cambia e la gente se ne va altrove. Il posto di per sé non conta proprio niente”. Le coincidenze sono tutt'altro che casuali: per quanto sia assiduo nel tentativo di dissimularla nelle sue creazioni, l'odissea di Francis Scott Fitzgerald riappare puntuale, racconto dopo racconto, perché “la vita segue il suo corso, al di là delle nostre intenzioni”. Disorientati, allegri, confusi, sfuggenti, avvolti in quel mood romantico e decadente, quella sensazione di vivere un'ultima stagione prima del crollo degli imperi o dell'avvento di un'era in cui resteranno solo Sogni d'inverno, gli uomini e le donne narrati da Francis Scott Fitzgerald sanno, come scrive in Una pagina nuova che “tutto ciò che si aggiunge alla bellezza si paga”. Per esperienza personale, anche, che ritorna nel crepuscolare Pomeriggio di un autore, quando rimane incantato guardando “la residenza dello scrittore di successo”, ben sapendo, come scriveva nell'incipit di La cosa più sensata che “il successo è questione di atmosfera”. La sua apologia parte dalla considerazione che “lo scrittore di cui si parla è sempre stato uno spontaneo, nella sua professione; non riesce a pensare a nulla, infatti, che avrebbe potuto fare altrettanto bene quanto vivere profondamente immerso nel mondo della fantasia”. Lo stupore, nonostante gli spettri e le sconfitte, resta immutato, senza un graffio e Francis Scott Fitzgerald confessa: “Dev'essere fantastico avere un dono del genere, ti siedi con carta e matita, tutto qua. Lavori quando vuoi, vai dove ti pare”, ma poi, nella sua naturalezza, non nasconde (e lo ribadisce) che rimane soltanto “la scoria di un sogno”. Il più delle volte, basta quella.

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