giovedì 31 marzo 2016

Spalding Gray

Attore, più che scrittore, capace di esprimere un ritmo serrato e sferragliante nei monologhi poi riportati in Sesso e morte fino a 14 anni, irriverente e caustico, Spalding Gray costruisce un linguaggio colto, sboccato, ironico e amaro nello stesso tempo. Si ispira a Wallace Stevens, racconta Dallas e Dynasty, coltiva la passione per i grandi jazzisti (Art Blakey, Gerry Mulligan, Dizzie Gillespie), va a sentire Lou Reed con Sam Shepard, soprattutto usa la sua vita privata come veicolo primordiale delle sue storie perché “funziona così: ogni cosa che fai, devi dire: io sono uno che prende questa cosa, io sono uno che... Alla fine, sta scritto, raggiungi una sorta di distanza liberatoria, o quel che è, invece di una distanza estetica”. In quella che Spalding Gray chiama “una storia orale in fieri” sfilano le ossessioni, le idiosincrasie, i dubbi, la verve di “uno a cui le storie saltano incontro e restano appiccicate addosso. Sono tutte lì fuori, che spingono per entrare. Ognuno di noi esiste in un tessuto di storie personali. Tutta la cultura, tutta la civiltà non sono altro che un’ingegnosa trama, un puzzle messo insieme dall’uomo, il patchwork variopinto che ricopre una natura cruda e indifferente. Per questo, quando un albero cade nella foresta, non mi chiedo se qualcuno sentirà lo schianto. Ma piuttosto: chi lo racconterà?” La domanda è legittima, fermo restando che non sempre il resto del mondo è lì ad aspettare di essere condotto alla scoperta della bellezza. Ecco il vademecum stilato dall’assistente di Johnny Carson, il conduttore del The Tonight Show, dopo che Spalding Gray gli ha raccontato una delle sue iperboli comprendente Molière, l’erba e altre piccole passioni adolescenziali: “Ah, questa sì che è bella. Però cerca di non usare parole come misantropo. Johnny detesta il teatro. Ricordati che reciti davanti a spettatori neanche tanto intelligenti che chiedono solo di addormentarsi beati. Non fare tutti ‘sti voli pindarici. Un po’ hai la mano leggera, un po’ hai la mano pesante, non sei granché come editor di te stesso. Ma le tue storie sono buone. Ne hai altre?” Il paradosso, non raro nella sua vita, nella sua arte e in tutto Sesso e morte fino a 14 anni, è che in qualche modo sembra persino Spalding Gray sembra convenire, pur sempre a modo suo: “Il loro senso della storia riguarda solo il passato. L’oggi non è storia. Sull’oggi non c’è nulla da dire. Sono contenti di avere un lavoro, tornare a casa la sera, guardare la televisione, andare a letto, non sognare nulla”. L’episodio, per quanto emblematico, non è l’unico: tutto Sesso e morte fino a 14 anni è un tourbillon di aneddoti, un flusso di coscienza inarrestabile, uno scoppiettante almanacco di battute, titoli, calembour, citazioni e dove l’introspezione si sovrappone alla comicità, con una punta di malinconia. Scriveva infatti Spalding Gray nell’introduzione a Sesso e morte fino a 14 anni: “L’intero processo di mettere per iscritto queste storie è stato per me estremamente salutare, tanto che mi ha proiettato in avanti. E sebbene ciò non significhi che un futuro esiste, mi ha dato almeno una direzione in cui muovermi, dietro quel futuro che vedo in fuga davanti a me”. Quasi un presagio, o persino un esorcismo contro un destino segnato, da cui infine ha voluto fuggire con un ultimo sberleffo, scomparendo nel nulla, una notte dell’inverno del 2004.

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