venerdì 7 dicembre 2012

Susan Sontag

Più che un saggio sul potere delle immagini, Davanti al dolore degli altri è un vademecum per vivere questi incredibili tempi moderni, in cui la realtà sembra essere sospesa in un limbo tra rappresentazione, finzione e una percezione distorta dall’information overload. Con estrema lucidità e una background coltissimo e rigoroso, Susan Sontag cerca di descrivere, di comprendere, di spiegare il senso di impotenza, di disperazione e di incredulità che viviamo nel trovarci di fronte a immagini atroci e senza senso. “Assistere da spettatori a calamità che avvengono in un altro paese è una caratteristica ed essenziale esperienza moderna, risultato complessivo delle opportunità che da oltre un secolo e mezzo ci offrono quei turisti di professione altamente specializzati noti come giornalisti. La guerra è ormai parte di ciò che vediamo e sentiamo in ogni casa” scrive Susan Sontag ed è proprio la guerra il disastro peggiore perché è anche il più attraente. Davanti al dolore degli altri si costruisce una solidissima credibilità proprio scavalcando i luoghi comuni e Susan Sontang ammette, senza paura di essere smentita, che “la guerra era, e continua a essere, la più irresistibile, e pittoresca, delle notizie. (Insieme a quei suoi preziosi sostituti che sono gli eventi sportivi internazionali)”. Già quest’associazione, visto cosa succede negli stadi, fa riflettere non poco, poi nel forbito e ricchissimo discorso di Susan Sontag appare un frammento di Henry James, centellinato con cura perché “in letteratura nulla è dovuto al caso o alla fortuna” che illumina la condizione di chi, davanti alla terribile scena di un massacro di Sarajevo, New York, Falluja, Madrid, Londra, Aleppo rimane ammutolito: “In mezzo a tutto questo, utilizzare le parole di cui disponiamo è ormai difficile quanto far fronte ai nostri stessi pensieri. La guerra ha logorato le parole; si sono indebolite, deteriorate”. Rimangono le immagini che scorrono senza poterle fermare e sono sempre oggettive e cambiano in continuazione prospettiva e ci fanno  sentire soli Davanti al dolore degli altri perché, come nota con una sensibilità non indifferente Susan Sontag “a mancarci è l’immaginazione, l’empatia: non siamo riusciti a fare nostra questa realtà”. Viene spontaneo chiedersi a chi serve, a chi giova proiettare senza sosta la ricostruzione (che poi, come ben analizza Susan Sontag, spesso confina nel falso e nel grottesco) di immagini crudeli e spietate e se “esiste un antidoto contro l’eterna seduzione esercitata dalla guerra”. Qualche suggerimento Susan Sontag ha ancora il coraggio di darlo, a partire dalle precondizioni in cui matura questa sensazione di aver sempre le spalle al muro, dato che “in una cultura radicalmente riorganizzata dai valori del mercato, la pretesa che le immagini siano stridenti, clamorose e rivelatrici appare più che altro un segno di elementare realismo e di fiuto per gli affari”. Cambierà tutto, non cambierà la guerra ed è per questo che Davanti al dolore degli altri dovrebbe essere adottato da ogni scuola. 

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