lunedì 10 dicembre 2012

Leonard Cohen

E’ incredibile come Leonard Cohen trasformi la poesia in un linguaggio per parlare con se stesso, per riempire il diario della sua vita perché “la poesia non è altro che informazione. E’ la costituzione della nazione interiore”. Morte di un casanova in particolare si nutre di una leggera anarchia dove la finzione suprema erutta in slang da bassifondi, in particolare quando guarda verso ragioni pratiche (e non è impossibile assecondarlo quando dice con Un proletario: “Gli esseri che si aggirano intorno a questo tavolo hanno già rovesciato il mondo e poi ve l’hanno nuovamente infilato su per il culo esattamente com’era prima”), anche se poi privilegia liriche elaborate e sensuali, il suo personale work in progress. La poesia raccolta in Morte di un casanova non è mai definitiva: si evolve in pagine di prosa, in canzoni (come è risaputo), in un flusso inarrestabile di emozioni convogliate, sillaba dopo sillaba in una forma instabile. Le poesie, a loro volta, diventano preghiere, invocazioni, avvisi ai naviganti, fogli di taccuino, rimasugli di sogni descritti una volta per essere dimenticati per sempre (“Lo spirito s’è fatto carico di un po’ del lavoro sporco” scrive in Il sogno) e quella che in Dopotutto l’innamorato chiama “la falsa voce dell’armistizio”, una specie di lingua che spiega come mai “l’amore contempla tutto”, peraltro azzerata dal titolo Sono contento di essere sbronzo. Eccessivo, contradittorio, spudorato come un’operazione a cuore aperto (lo ammette con L’altare: “Il cuore di un traduttore che ha cercato di rendere in un linguaggio corrente gli ordini superiori della pura energia, che non ha negato la propria inclinazione all’obbedienza”), Morte di un casanova, è il cahier de doléances di un “amico della neve” che usa le parole come un rabdomante per cercare qualcosa che ancora non gli appartiene. L’ambizione è tenace, la presenza è forte, i versi battono un ritmo serrato, dando spazio a toni dalle tinte forti: “Io sono la voce che tu hai messo da parte perché era troppo rabbiosa ma quello che ho o ho avuto da dire è tutto quello che avrai o avrai mai avuto”. Una confessione pura e semplice raccolta proprio in Morte di un casanova: “E così è andata la storia ma chi avrebbe detto mai che non ce ne frega niente che non ci riguarda più. Come fare un viaggio sulla luna o un pianeta sconosciuto: non ha proprio senso andarci se si deve andar così lontano”. Pur risalendo al 1978, Morte di un casanova sembra adattarsi in modo naturale e coerente alle recenti disavventure di Leonard Cohen dove, e non è un caso, nei suoi legami amorosi è finito di tutto, dalla sua percezione dell’arte al conto in banca. In prospettiva Il prezzo di questo libro anticipa e sublima : “Volevo finirla, ma non volevo finire: la mia vita nell’arte. Avevo impegnato la mia salute più profonda per riuscirci. Il lavoro andava ben al di là di questo libro. Adesso lo vedo. Mi vergogno di chiedervi dei soldi. Non che voi non abbiate pagato di più per ottenere ancora meno. E’ così. Continuate a farlo”. Continuiamo, eccome.

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