venerdì 21 dicembre 2012

John Updike

Con uno sguardo a volo d’uccello, come se sfiorasse appena le storie che racconta, John Updike mette insieme una ventina di bozzetti di vita americana, lontano dai clamori metropolitani e televisivi, che mostrano un’umanità ben diversa da quella a cui ci hanno abituato le cronache quotidiane. Forse, se l’elegante scrittura di John Updike non inganna, persino migliore. Tutte concentrate nell’ambito famigliare (per quanto divorzi o separazioni tendano a ridurre gli spazi) le esistenze dei personaggi di Fratello Cicala sembrano leggermente spostate rispetto all’asse dei miti e dei luoghi comuni dell’America di oggi. C’è un calore umano, una ricerca del focolare casalingo (i racconti sono curiosamente popolati di camini in cui arde legna odorosa), un costante tentativo di riallacciare i rapporti con il passato, con un passato che sembra nascondere ancora soluzioni e alternative, forse anche perché “nessuno ci appartiene tranne che nel ricordo”. Il presente è relativo: i grandi drammi della nostra epoca, la complessiva e generale perdita di identità data dall’assuefazione al mezzo televisivo (e alla tecnologia in genere) restano sullo sfondo, vengono messi in sordina. Una scena particolarmente efficace descrive questa situazione in L’uomo che era diventato soprano, quando i membri dell’improvvisata orchestra di flauti dolci che è al centro dell’attenzione si ritrovano a suonare “anche se le notizie del giorno avevano annunciato qualche sciagura (un massacro a Beirut, l’esplosione del Challenger)” e persino “durante la settima partita dei Red Sox per le World Series, il cui andamento gli uomini avevano controllato ogni tanto sul televisore che chiacchierava con se stesso in cucina”. La scrittura di John Updike è questa: piccoli dettagli incastonati in storie semplici, legate indissolubilmente al quotidiano, sottili segnali che raccontano tutto. Un modo di interpretare la letteratura fuori dalle righe: affiora soltanto una fugace citazione da Henry James, ma il vero centro dell’attenzione, nelle short stories di Fratello Cicala, sono loro, i vari Billings, Maple, Jessup, Whittier, Weiss, Eggleston chiamati per cognome, come a sottolineare l’appartenenza ad una famiglia, o almeno a un’unità, i veri, assoluti protagonisti. Uomini e donne che hanno più da ricordare che da inventare, e che si ritrovano a combattere il dolore, a conoscere la morte e a guadare i travagli della vita cercando soluzioni con l'unico strumento che all’umanità è concesso in più rispetto al resto del mondo. E’ la parola, cerca di convincerci John Updike, la sola possibilità di redenzione, o di peccato, volendo, e non è difficile lasciarsi coinvolgere e dargli ragione, leggendo i racconti di Fratello Cicala. E non è tutto, perché in alcuni punti (a partire da Viaggio nel regno dei morti) il lirismo di John Updike raggiunge vertici in cui l’unica chance di comprensione è offerta dal territorio delle emozioni, una zona che viene sensibilmente messa alla prova da queste illuminate short stories. 

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