“Comporterebbe la rigenerazione dell’umanità, se ci si elevasse tanto da venerare sinceramente tronchi e pietre” scriveva H. D. Thoreau il 30 agosto 1856. Il suo diario (i suoi Journal, qui ripresi) ancora più di Walden raccontano la contemplazione, il senso di attenzione e discrezione su cui ha costruito il suo “agire nel mondo” che è soprattutto un pensare, un credere ed esistere che è figlio della meditazione e della riflessione. L’elevazione parte da un fiducia estrema e totale nei suoi strumenti preferiti, l’osservazione, la scrittura, il pensiero che H. D. Thoreau celebra così: “Siamo armati del linguaggio adeguato per descrivere ogni foglia nel campo, o almeno per distinguerle fra loro, ma non per descrivere un carattere umano, descriviamo gli uomini con una vaghezza e una confusione ugualmente meravigliose”. Il legame tra notizia e percezione, tra descrizione e interpretazione è sviscerato in modo appassionato e florido perché “un fatto puramente enunciato è arido. Deve essere il veicolo di un po’ di umanità per interessarci. E’ come dare una pietra a un uomo, quando vi chiede del pane. In fondo, la morale è complessiva, e non ci disturba se la verità inferiore viene sacrificata a quella superiore, come quando il moralista crea fiabe e fa parlare e agire gli animali come gli uomini. La morale deve essere calda, umida, incarnata, deve almeno aver ricevuto il soffio. Un uomo che non ha sentito una cosa, non l’ha vista”. Come contrappunto è curioso e interessante citare l’opinione di William Fense Weaver che a proposito del sentire e vedere di Walden diceva in un’intervista: “C’è un pezzo scritto da Henry David Thoreau in cui descrive il risveglio dopo una notte di neve: dentro la casa e senza aprire la finestra, lui ha già capito che c’è la neve fuori dalla qualità del silenzio, dalla qualità di quel po’ di luce che trapela, dalla qualità di rumori che fanno gli animali e sono due o tre pagine di pura magia. Quasi senza aprire gli occhi”. L’assemblaggio delle pagine di diario che prende una sua forma con L’agire nel mondo sembra rispecchiare proprio quell’attitudine alla conoscenza che non cresce “per inferenza e deduzione, né con l’applicazione della matematica alla filosofia, ma attraverso il rapporto diretto e l’affinità”. E’ una dimensione che esige formule speciali, soprattutto per chi ha il compito di agire che tradotto nello specifico vuol dire scrivere. Secondo H. D. Thoreau “uno scrittore, un uomo che scrive, è lo scriba di tutta la natura, egli è il grano, l’erba e l’atmosfera che scrivono. E’ sempre fondamentale amare ciò che stiamo facendo, che lo facciamo col cuore”, e il rapporto con la wilderness, con il silenzio, con l’osservazione quotidiana di eventi infiniti e infinitesimali sono lo scopo essenziale per comprendere che il sapere, l’agire nel mondo è sempre la maturazione di una scoperta, è la vocazione per l’insolito, è la piccola nota che si vede senza sentirla, è il dettaglio che si sente senza vederlo, è dimenticare tutto quello che si è imparato, e ricominciare, di nuovo.
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