mercoledì 25 maggio 2011

T. M. Rives

Si sono scomodati paragoni altisonanti per il breve esordio di T.M. Rives, giovane scrittore americano trapiantato in Europa. Qualcosa è giusto (anche se invece di Raymond Carver sarebbe più logico parlare di Richard Ford visto che l’atmosfera rimanda senza esitazioni a Incendi), qualcosa si perde per strada. L’esile trama di Il serpente del grano si regge infatti su un racconto costruito sui dettagli e sulle parole “sbucciate come cipolle” e ha tutta una sua eleganza nel gestire i rapporti e i dialoghi tra i (pochi) personaggi, ammettendo “parole strane, affastellate le une sulle altre in ammassi sgraziati. Sistemate in fila, disposte in modo avventato, finché la frase successiva non esplodeva a cancellare la precedente”. In alcuni passaggi è davvero affascinante e non c'è dubbio che T.M. Rives abbia un talento, magari ancora da definire, nel modificare, avvicinandosi e allontanandosi con il suo obiettivo, i punti di vista. E’ proprio nei suoi lati migliori, ovvero la ricercatezza dei dettagli e la simbologia rettile, che però trova i suoi stessi limiti. Purtroppo l’erpetologo di T.M. Rives ha qualche mancanza o Il serpente del grano va preso in senso metaforico (e qui i dettagli vanno a farsi benedire). Un romanzo è pur sempre fiction, rappresentazione della realtà, interpretazione e visione e su questo non c’è dubbio. Però trattandosi di un personaggio non relativo per Il serpente del grano, le nozioni di cui dispone l’erpetologo chiamato in causa sono limitate, se non proprio lacunose. Uno spicciolo supplemento d’indagine aiuta  a capire. La elaphe guttata guttata, questo il nome scientifico del serpente del grano (che a sua volta è una delle tante variazioni dei serpenti dei ratti) una volta catturata o in difficoltà emana, per reazione e per difendersi, un muschio puzzolente. Il dettaglio, nell’economia del racconto, non è relativo: Macey (la figlia) e la madre vivono sole (memorabile lo scambio di battute sulla sorte del padre), in “un luogo immediatamente riconoscibile. L’aria stessa aveva qualcosa di selvaggiamente familiare, il gradevole schiocco di un lenzuolo bianco steso al vento ad asciugare. Intensità e leggerezza” ed è evidente che almeno nella rocambolesca cattura l’abominevole odore doveva saltare fuori e invece è stato dimenticato. Tra l’altro l’erpetologo ci tiene a specificare che quel serpente del grano è tanto innocuo quanto selvaggio, a differenza degli ibridi (una specie piuttosto comune tra gli appassionati) abituati a vivere in cattività, e quindi a maggior ragione, anche quando Macey lo prende dal terrario o nel finale quando viene scacciato, una certa puzza si doveva sentire. Anche altri dettagli di Mitchell Flatch, l’erpetologo destinato a far saltare gli impalpabili equilibri tra madre e figlia non convincono del tutto, ma per chi non è ossessionato dalla precisione (e comunque sono sempre i dettagli che fanno la storia) o dai rettili, Il serpente del grano è una storia da leggere in una sera, bella ma con riserva. 

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