domenica 15 maggio 2011

Chris Kraus

“Aldous Huxley ha fatto un trip di otto ore con la mescalina. Simone Weil ha fatto un trip di vent’anni con il concetto e la casualità”: bastano una trentina di parole per piombare nel maelstrom di Aliens & Anorexia. Cercando di far prendere forma a un film, Gravity & Grace, la cui strampalata agenda è alla base del romanzo, Chris Kraus cita Flaubert, Deleuze, Guattari, Burroughs, Sartre, Patti Smith, Keith Richards, Artaud, Paul Theroux, V.S. Naipaul, Michel Foucault, Aldous Huxley, Karl Marx, Georges Bataille, Kenneth Rexroth, George Buchner, David Cronenberg. Scrive a Walter Benjamin (“Caro Walter Benjamin prendere LSD nel sud della California non è come si fumava hashish a Marsiglia nel 1939”), vive l’anoressia (“Mettere in dubbio il cibo è mettere in dubbio tutto”) inseguendo Simone Weil, sviluppa e annoda le riflessioni sulle emozioni, sulla filosofia, sulla letteratura, sulla vita. Il metodo è un cut-up & fold in che aggancia messaggi di posta elettronica, citazioni letterarie e filosofiche, pagine di diario, frammenti di storia pescati nella rete, divagazioni ellittiche, dialoghi e monologhi coltivati nell’acidità della solitudine. In questa cacofonia di voci la domanda fondamentale di Aliens & Anorexia emerge dal rumore di fondo come una frustata: “La gente come immagina la propria vita?” e la risposta per Chris Kraus non è mai una, e non è mai semplice. “Non appena i nostri sogni sono sul punto di svanire noi decidiamo di metterli in scena” scrive come se stesse tastando una via nel buio, provando tutte le direzioni, a volte in modo goffo e traballante, a volte in modo sorprendente e geniale, però sempre con una generosità più bulimica che anoressica perché “raccontare una storia è un atto d’amore. Il narratore va diretto alla mente di colui che ascolta, in profondità, o offre serenità e ordine dove non ci sarebbero. La fiaba non nega il caos dell’universo. Offre piuttosto una chance, la possibilità che, in un modo tutt’altro che perfetto, sia possibile fare qualcosa di buono”. Né moderno, né postmoderno, Aliens & Anorexia viaggia in un presente scandito dai tempi impossibili dello zapping televisivo o delle navigazioni in rete ed è altrettanto frenetico, frammentario, caotico, un continuo fuoco d’artificio, che lascia tracce indelebili per piccole porzioni di secondo, finché Chris Kraus giunge “alla conclusione che non si poteva più fare affidamento sulle fiabe alle quali si era creduto, e non ce n’erano di nuove a sostituirle. Le cose non vengono fuori. Vanno in pezzi”. A differenza della dispersione di molti bricoleur che sono arrivati a David Foster Wallace senza passare dal via, Chris Kraus riesce a guardare oltre le scintille e le luminarie della scrittura e della lingua e tenta di comprendere “l’ombra” e “la grazia”, e chissà vorrebbe esserne anche parte. E’ per questo che Aliens & Anorexia ha un concetto particolare di bellezza e lo regge come può: svelandolo, nascondendolo (del resto non viviamo in una belle époque, se mai ce n’è stata una).

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