martedì 9 agosto 2022

James L. Dickerson

Nell’intricata relazione tra Elvis e il colonnello Parker, spunta, alla fine e all’improvviso, un terzo incomodo, Blanchard Tual che, secondo James L. Dickerson, era “uno sconosciuto avvocato di Memphis troppo coraggioso o troppo stupido per comprendere l’enormità delle sue azioni”. Questo perché attorno al re del rock’n’roll e al suo enigmatico manager si sono avviluppati interessi enormi all’interno di una rete di connessioni che comprendeva l’industria discografica, Hollywood e la criminalità organizzata, fino alla presidenza degli Stati Uniti, è non è facile capire cosa e chi era peggio. Ecco, forse la storia di Elvis e il colonnello andrebbe letta un po’ a ritroso, partendo proprio dal lavoro che fece Blanchard Tual per dipanare quella matassa e tutelare l’eredità. La costruzione di un impero, in sé enorme e fragile, comincia nella preistoria dello show business, quando il colonnello Parker attraversava l’America da una fiera all’altra con variopinti cast di “nani, donne barbute, contorsionisti, trapezisti, tiratori esperti, lanciatori di coltelli, esibizioni di animali come gorilla, serpenti e leoni, e giochi di prestigio di ogni tipo. Chiunque proponesse un numero poteva fare della fiera casa sua. L’importante era che fosse strano, per un verso o per l’altro, o che si basasse su un qualche imbroglio, impossibile da indovinare”. I misteri sulla sua identità non gli impedirono di passare da quelle carovane a gestire le carriere di artisti come Eddy Arnold e Hank Snow, prima di arrivare alla liaison con “il cantante nucleare”, ovvero Elvis in persona. Con lui, il ruolo del manager ossessivo e avido, ma anche molto abile, divenne un cliché con tutti gli intrighi, le macchinazioni, le stratificazioni dei contratti e dei compensi, i retroscena e gli accordi che, con il passare del tempo, trasformarono Elvis in un prigioniero del rock’n’roll, fino alla sua decadenza. Senza dubbio il colonnello Parker era “un genio della manipolazione”, ma James L. Dickerson con uno stile molto lineare, quasi fosse un romanzo, riesce a illustrare molto bene le principali direttive che influenzarono il legame tra Elvis e il colonnello. Una componente determinante è l’intreccio tra politica, spettacolo, e le parti più oscure dell’America, dalle società segrete che lottavano contro l’integrazione alle correnti mafiose da New Orleans fino al capolinea di Las Vegas. Tutto documentato dall’imponente dossier che l’FBI ha dedicato a Elvis e a cui James L. Dickerson ha attinto in abbondanza per la sua ricostruzione: non c’è tutto, perché tra tentativi di truffa (compreso quello, criptico e contorto, relativo all’acquisto di uno dei tanti jet privati), minacce di morte, citazioni, accuse e ritorsioni servirebbe un’enciclopedia, ma il riassunto è efficace e scorrevole. È anche un ritratto dell’America nella seconda metà del ventesimo secolo con tutte le tensioni e le effervescenze, con Elvis tra Johnny Cash e i Beatles, forse incastrato dalla sua ingenuità più che dalla natura ambigua del colonnello Parker che “fece un lavoro magistrale enfatizzando le paure”. Da imbonitore e venditore, ha saputo creare attorno a Elvis quell’aura che gli ha permesso di piazzarlo in dozzine di film insulsi così come di spremerlo da Memphis fino alle Hawaii all’infinito, accumulando e sperperando interi patrimoni. In effetti, il cinismo negli affari ha dato i suoi frutti, compresi quelli più amari. In molti gli hanno rimproverato di aver sottovalutato (o volutamente ignorato) i problemi di dipendenza di Elvis e di non avergli concesso respiro dal punto di vista artistico, tutto abbondantemente descritto da James L. Dickerson fino alla sua morte e alle controversie legali ed economiche che, ben lontane dai lustri e dalle paillettes, svelarono l’amara realtà dei rapporti con il colonnello Parker. Senza alcun giudizio morale, perché resta una figura insondabile, il cui destino, come in una grande e corale tragedia americana, è stato segnato dall’apparizione di un personaggio del tutto secondario. I fantasmi diventato miti, i sopravvissuti dettano legge: oggi, Blanchard Tual è socio in uno studio legale che, manco a dirlo, si occupa di gestire patrimoni.

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