Forse
è soltanto un’involontaria coincidenza, ma i Paradisi minori
di Megan Mayhew Bergman cominciano dedicando tutta l’attenzione
agli uccelli per finire con i pesci. Quasi un’evoluzione al
contrario, con una specie, quella umana, che resta indefinita e
prigioniera di se stessa, a metà strada tra la sofferenza in
cattività e l’amaro sollievo dell’estinzione. La coabitazione
sullo stesso pianeta di esseri che non sanno ed esseri senzienti e
convinti della propria indifferenza, genera il substrato che pervade
i racconti di Paradisi minori. E’ un tema che si snoda in
sottofondo, per quanto gli animali siano in risalto in ogni storia,
ma che tende a sottolineare l’innata conflittualità degli esseri
umani, le loro complicate relazioni, i frutti dolci e acidi che
maturano nei pensieri, perché “la verità è che siamo pazzi,
malati d’amore, tutti quanti”, come si dice in L’arte della
casalinga. E’ un racconto commovente dove tutto è doppio: due
madri, due case, un pappagallo che ripete, ma soprattutto una donna
che si riflette nello specchio della vita senza ritrovarsi. Un
problema che gli altri animali evidentemente non hanno. E’ su
questo fragile equilibrio che si muove la narrativa di Paradisi
minori: la sensazione che fra noi e gli animali ci sia una
connessione più intensa di quello che sembri, se non altro perché
“siamo parassiti del mondo, tutti quanti”, come dice uno dei
personaggi di Le balene di ieri. E’ uno dei racconti più
interessanti per via dell’intransigenza ambientalista del
protagonista, che è ossessionato dall’incubo della
sovrappopolazione e della resistenza di Lauren, la sua compagna, che
è rimasta incinta. La diatriba genera tensione a sufficienza per
immaginarlo come un capitolo di un romanzo, forse l’inizio, e a
suo modo risolve anche uno dei nodi cruciali dei Paradisi minori
quando Lauren immagina come “tutti i dilemmi cerebrali del mondo
non possano niente contro i fatti fondamentali della biologia”.
Anche gli altri racconti sono immediati e fruibili: cesellati con il
gusto dell’artigianato, semplici e raffinati nello stesso tempo,
offrono molti interrogativi sui cui soffermarsi scrutando le parole
che, alla fine, convergono sempre nel ripercorrere tutti gli
spostamenti dei personaggi che, uno dopo l’altro, si allontanano da
casa. L’ecologia dei sentimenti ha una sua specifica e principale
funzione nell’inseguirsi e perdersi, trovarsi e lasciarsi, un’altra
abitudine che gli animali, più fortunati di noi, non hanno. C’è,
in tutto questo movimento, molta America nei Paradisi minori di
Megan Mayhew Bergman con tutta la cultura e le atmosfere della
wilderness e insieme con la radicata convinzione di poter accedere
alla “terra trasformata”, come la chiamava William Cronon. Lo
spazio che siamo chiamati ad abitare non è infinito e quando la
protagonista di Un’altra storia a cui lei non crederà dice
“mi viene in mente che ogni tanto finiamo per abitare in luoghi che
non ci appartengono”, non fa altro che riflettere, oltre alle
proprie condizioni personali, sull’invadenza e la pericolosa
insipienza del genere umano. Megan Mayhew Bergman ha una sua
delicatezza nel confrontarsi con gli animali, domestici o selvatici
che siano, per come penetrano nella nostra esistenza e per come noi
decidiamo e pesiamo sulla loro. L’emblema è il coyote che si
aggira disorientato e affamato nell’habitat stravolto di Caccia
notturna: ci ricorda che gli animali subiscono le tensioni e le
paure che creiamo e sopportiamo noi, solo che non hanno la
letteratura per esorcizzarle.
Nessun commento:
Posta un commento