lunedì 23 ottobre 2017

Stephen Crane

“Sei un uomo?” chiede un bambino affamato e solitario all’essere stremato e impolverato che sta risalendo la collina. Non c’è posto per gli eroi nelle cronache belliche di Stephen Crane, non c’è alcuna celebrazione degli atti di valore, anche quando sono sconsiderati e o disinteressati. Il più delle volte scoprono situazioni surreali, paradossali o semplicemente folli. Cambiano i fronti, da Cuba alla Grecia alla guerra civile americana, ma l’impressione è come se “l’umanità intera stesse scappando in un’unica direzione, troncati tutti i legami che ci uniscono alla terra”. Stephen Crane vede il delirio degli uomini in guerra e lo racconta a distanza ravvicinata, e non solo: sembra percepire con spiccata sensibilità le emozioni più intime e profonde, o almeno quello che ne resta perché “il gran carnevale del dolore” lascia attoniti, ammutoliti, privi di ogni forza. Quando si ha la certezza che “la sconfitta è morte, a meno che non si verifichi un miracolo” non resta molto, e Stephen Crane narra la partecipazione e lo stupore, che rimane inalterato anche dopo pagine e pagine sangue e fango, per la trasformazione degli esseri viventi in un’altra materia, molto simile alla terra, come se fossero già morti e inumati, senza rendersene conto. Questa visione è esplicita nell’incipit di Un mistero di eroismo: dettaglio di una battaglia americana: “Le uniformi scure degli uomini erano così impolverate per i combattimenti incessanti tra i due eserciti che il reggimento sembrava quasi parte dell’argine di argilla che lo proteggeva dalle granate. In cima alla collina una batteria litigava con altri cannoni lanciando tremendi ruggiti, e la fanteria poteva scorgere nitidamente delineati contro il cielo blu gli artiglieri, i cassoni e i cavalli. Quando veniva sparato un pezzo d’artiglieria, una striscia rossa rotonda come un tronco guizzava bassa nel cielo, simile a un lampo mostruoso”. L’acuto senso per “la meraviglia della tragedia umana” di Stephen Crane si rivela proprio in quei minuscoli dettagli che si stagliano prepotenti nei racconti. Un bottone insanguinato in La faccia in su mette a rischio la sepoltura di un ufficiale, la postura irregolare di una sentinella scatena il terrore in Il manicomio privato del sergente, l’acqua che entra troppo lentamente nella borraccia ancora in Un mistero di eroismo: dettaglio di una battaglia americana, i puledri intrappolati nelle fiamme in Il veterano, un canto che risuona all’improvviso nell’oscurità del campo di battaglia, una preghiera ricordata a fatica sotto il fuoco incrociato del nemico, l’insensatezza degli ordini superiori, l’amputazione del braccio di un tenente come se fosse la normalità nella logica estensione della ferocia dei combattimenti: nelle storie di La morte e il bambino non c’è nessuna gloria, nessun riconoscimento, imperversano soltanto paura, disperazione, distruzione finché la pazzia non appare come l’unica via di fuga praticabile. A quel punto la risposta alla domanda del bambino che vede arrancare qualcosa sul pendio, sgorga spontanea dai reportage di Stephen Crane: è “solo un soldato, senza più nulla di umano”.

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