In
un angolo nascosto di questa selezione antologica (che comprende una
buona parte di inediti) e rigorosamente tematica, il buon vecchio
Hank si lascia sfuggire che “sono gli extra, sono tutti quegli
extra” a convincerlo a inseguire “i bei momenti del miracolo
dell’amore”. Si tratta pur sempre di piccole frazioni, perché se
è vero, come scriveva nel marzo 1971 all’inizio di La
doccia che “stare insieme risolve
quasi tutto”, in quel “quasi” si spalancano le porte
dell’intero mondo di Bukowski, con i suoi scenari: Los Angeles, gli
appartamenti trasformati in campi di battaglia, le corse dei cavalli
(immancabili), la radio che trasmette Mozart, le bottiglie di vino
scolate a ripetizione e, più di ogni cosa, l’ossessione per la
scrittura. La fine della stessa poesia riassume, “quasi” come
un’elegia, tutto il senso delle meditazioni Sull’amore:
“Nella storia di una donna e di un uomo, è diverso per ognuno,
meglio e peggio per ognuno, per me, è splendido abbastanza da
ricordare oltre la marcia delle truppe e dei cavalli che zoccolano
per le strade là fuori oltre i ricordi di dolore e di sconfitta e di
infelicità: Linda, mi hai donato tutto questo, quando me lo porterai
via fallo lentamente e dolcemente, fallo come se io stessi morendo
nel sonno invece che in vita, amen”. E così sia: già nella dedica
alla moglie, Sull’amore
rivela un Bukowski intimo, a tratti persino accorato e lirico,
riscoperto nelle sue variazioni più sensibili in ordine (e
disordine) di donne e amore. Una trama, non lineare, non organica,
collega tutte le poesie e lascia emergere, nello stesso tempo, un Buk
“quasi” confessionale che, in Ho
fatto un errore, si ritrae come “un
vecchio confuso che guida sotto la pioggia chiedendosi che fine abbia
fatto la sua fortuna”. E’ soltanto la prima delle ammissioni
della sua infinita rissa con “la futilità del compromesso
dell’esistenza”, altrimenti riassunta così: “Mi sono fatto il
quartiere, mi sono bevuto la città, mi sono scopato il paese, ho
pisciato sull’universo. Mi è rimasto poco da fare se non
consolidare la mia posizione e rilassarmi”. Il relax lo porta ad
alcune considerazioni antitetiche al suo mood, ma che suonano
stranamente sincere. Scrive in Ragazze
pulite tranquille in abiti di percalle:
“So che la loro pace è solo relativa, ma è comunque pace, spesso
ore e giorni di pace”. Ancora di più in Sì
ammette che “ha i suoi vantaggi essere soli, ma si avverte un
calore insolito nel non esserlo”. Un Bukowksi a cuore aperto fino a
Il dramma della fine
dove dichiara senza possibilità di fraintendimento che “la cosa
più immensa della bellezza è scoprire che ne è andata”. E’
l’apoteosi del modo di vivere di Bukowski che, concentrato soltanto
sul presente, ha una sua logica stringente perché “il potere
corrompe, la vita abortisce, e tutto ciò che rimane è solo un pugno
di mosche”. Le abitudini e le necessità di Bukowski non sono
complicate, anzi, sono piuttosto limitate, eppure c’è sempre
qualcosa può andare va storto (tanto che in Scopare
dice: “Dormo con le palle in mano così nessuno può rubarmele”)
finché in Sento il suono delle vite
umane fatte a pezzi (notare
l’allegria del titolo) non rende pubblico l’antidoto (omeopatico)
al pessimismo cosmico (e comico) sostenendo che “è così facile
prendersela comoda, se te lo consenti, questo è tutto quello che
serve”. La benedizione finale non tarda ad arrivare quando in Una
per il lustrascarpe rivela di
apprezzare “i migliori tra voi più di quanto pensiate. Gli altri
non contano se non perché hanno dita e teste e alcuni di loro occhi
e quasi tutti gambe e tutti quanti sogni belli e brutti e un lungo
cammino da percorrere”. L’amore è un bel compagno (compagna) di
viaggio “e l’armonia ti fa credere che ci sia qualcosa dopo la
morte”. L’immancabile commiato arriva con La
migliore poesia d’amore che riesco a scrivere per adesso,
dove Bukowski alla fine di lunghe ed esplicite peripezie erotiche
ribadisce che “in tema di poesie d’amore visto dove ci siamo
spinti questa poesia basta e avanza”. Okay, manca solo il
corollario di due righe autobiografiche, che non tardano ad arrivare:
“Sono un uomo senza istruzione con folli sogni selvaggi, alcuni dei
quali si sono avverati (voglio dire, se devi stare qui tanto vale
lottare per il miracolo”). Il vero extra rimane sempre lui.
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