Nel 1707 una
flotta di cinque navi guidate dall’ammiraglio Clowdisley Shovell di
ritorno, vittoriose, dallo stretto di Gibilterra, brancolava nella
nebbia lungo le coste inglesi. L’assenza di riferimenti visivi e la
mancanza di un calcolo preciso della longitudine inquietavano gli
equipaggi. Un marinaio che riteneva di aver tenuto conto esatto degli
spostamenti delle navi “fece partecipi gli ufficiali delle sue
preoccupazioni: fu immediatamente impiccato per ammutinamento”. Fu
solo la prima vittima: quattro navi da guerra su cinque, compresa l’
ammiraglia Association, si schiantarono sugli scogli e duemila
marinai morirono. Sette anni dopo (anche le coincidenze numeriche
hanno un valore specifico) il parlamento inglese approvava il
cosiddetto Longitude Act, una legge che stanziava ventimila sterline a
chiunque avesse trovato il modo di risolvere l’annosa e difficile
questione della longitudine. L’intento divulgativo non nasconde
l’abilità narrativa di Dava Sobel che sa semplificare quanto basta
le argomentazioni scientifiche e tecniche, senza banalizzarle,
rendendole più che attraenti. Scriveva nell’introduzione a Sulle
mappe. Il mondo come lo disegniamo di Simon Garfield: “Le mappe
hanno il difetto di distorcere, è vero, ma io lo considero una colpa
perdonabile. Del resto, come si fa a non sacrificare in certa misura
le proporzioni quando si cerca in ogni modo di ridurre una cosa
sferica come il mondo in un’immagine piatta su un foglio di carta?
Tutte le tecniche di proiezione cartografica, da quella che da
Mercatore prende il nome alla proiezione ortografica, a quella
gnomonica o a quella azimutale, producono inevitabilmente una qualche
deformazione in un continente o in un altro”. E’ chiaro che
“l’identificazione del meridiano fondamentale è una decisione
squisitamente politica”, ma è anche noto che, come dice Simon
Garfield, “le mappe sono nate come una vera sfida
all’immaginazione, e ancora oggi lo sono”. La longitudine è
stata a lungo una chimera, foriera di esperimenti tra i più assurdi
ed eccentrici, tutti riportati da Dava Sobel, solo che la soluzione
piuttosto che fantasia e inventiva, richiedeva metodo, applicazione,
rigore e infine la sua misurazione si è concentrata attorno a due
concetti essenziali. La distinzione tra spazio e tempo si è
riproposta anche nella ricerca di una soluzione per la longitudine:
gli oggetti del desiderio che si sono disputati l’attenzione sono
le mappe astronomiche (i calendari e i cataloghi lunari) e gli
orologi marini. Detti così sembrano dettagli di una fiaba, in realtà
sono proprio quelli gli strumenti su cui vertevano intrighi,
finanziamenti, programmi, ricerche, proposte, delusioni.
L’osservazione e la concentrazione sul cielo vantava ascendenti
illustri, tra gli altri, in Tolomeo, Galileo Galilei ed Edmond
Halley, tanto che lo stesso Isaac Newton sosteneva: “Un buon
orologio può essere utile per tenere l’orientamento in mare per
qualche giorno e per conoscere l’ora di un’osservazione celeste,
e a tal fine può bastare un buon orologio montato su rubini, finché
non se ne troverà un migliore. Ma se in mare si perde la
longitudine, non la si ritrova con nessun orologio”. D’altra
parte, erano tutti coscienti che “il tempo è longitudine e la
longitudine è tempo”, e Dava Sobel concentra l’attenzione
sull’orologio marino di John (e William) Harrison divenuto poi
d’uso comune e, anzi, ritenuto uno dei motivi della supremazia sul
mare delle navi della marina inglese nei secoli. Prima di arrivare a
tanto, gli Harrison dovettero sfidare le differenze di censo (erano
una semplice famiglia di artigiani), le inevitabili valutazioni
economiche perché il loro cronometro era efficace ma “i cieli
erano universalmente alla portata di tutti” e tutti i meandri della
burocrazia, dell’accademia e della politica che Dava Sobel con
garbo e intelligenza riesce a rendere intellegibili e scorrevoli,
come se fosse un romanzo.
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