La selezione dei
materiali racconti in La vita delle immagini non segue un ordine
preciso, anche se l'acuta percezione di Charles Simic è un collante
più che sufficiente a permettergli di notare come “per un attimo,
tutto si riconcilia: la poesia, la filosofia, la storia. Vedo (nel
senso che riesco a immaginare e a sentire) il peso umano della
solitudine di un altro. Tanti esseri umani seduti con un libro. Si fa
giorno. Il pensiero diventa immagine. L’immagine diventa pensiero”.
In effetti, parte proprio da se stesso: lettore vorace e onnivoro,
ascoltatore appassionato, buongustaio curioso, colto e cosmopolita,
Charles Simic assembla La vita delle immagini partendo da una
prospettiva singolare, che poi è una sorta di autoritratto: “Il
mondo cerca sempre di premiare il conformismo. Ogni epoca ha la sua
linea ufficiale riguardo a ciò che è reale, ciò che è bene e ciò
che è male. L’ideale è un bel piatto di disonestà, ignoranza e
viltà servito tutte le sere dal telegiornale con modi compassati e
un’aria di superiore integrità. E ci si aspetta che anche la
letteratura si ispiri a quel modello. La tribù cerca sempre di
rieducarci e di insegnarci le buone maniere. Il poeta è il ragazzino
che, in piedi nell’angolo, dando le spalle al resto della classe,
si sente in paradiso”. Eccolo lì, dove si sceglie una bella
compagnia a cui dedicare le sue attenzioni: Buster Keaton, Marina
Cvetaeva, Emily Dickinson, William Carlos Williams, John Cage, Walt
Whitman, Witold Gombrowicz, Emil Cioran, Franz Kafka e Wallace
Stevens vengono citati, raccontati e spiegati in quel perimetro dove
“l’immaginazione di tutti gli artisti è uno specchio in cui
guardare la realtà, interna ed esterna, ma il modo in cui le due
realtà finiranno per mescolarsi nel riflesso, colui che regge lo
specchio potrebbe non sospettarlo neppure. Perché i demoni dentro di
noi sono tutti poeti, e tali, per fortuna, sono anche gli angeli”.
Se Charles Simic ha una visione unica della poesia dipende proprio da
quella constatazione: “Non fa assolutamente differenza se dèi e
demoni esistono oppure no. L’aspirazione segreta di ogni vera
poesia è quella di porre domande su di loro anche nel momento in cui
non se ne riconosce l’assenza”, o detto altrimenti, il suo scopo “è
trovare, mediante la lingua, dei modi per indicare ciò che non può
essere messo in parole”. Il tentativo è elogiato da Charles Simic
in tutte le sue declinazioni, dalla fotografia al cinema, visto che
“l’arte è lo strumento più profondo mai conseguito dall’uomo;
senza di essa non potremmo spere che cosa pensi o provi realmente una
persona. Contrariamente al filosofo, al moralista, al prete,
l’artista è impegnato in un gioco senza fine, che ha diritto di
esistere soltanto nella misura in cui sa aprirci gli occhi alla
realtà, una realtà nuova, a volte scandalosa, che l’arte rende
palpabile”. Straniero e (ormai) americano, il suo punto di vista e
la sua collocazione rimangono scomode e privilegiate nello stesso
tempo: la (magica) ricostruzione dell'infanzia a Belgrado e poi le
polemiche affrontate nel corso delle guerre dei Balcani sul finire
del ventesimo secolo portano il poeta a rivelarsi con ancora più
forza e non tanto perché “ci sono momenti della vita in cui
l’invettiva è sacrosanta, in cui sentiamo l’assoluta necessità,
motivata da un profondo senso della giustizia, di denunciare
pubblicamente, irridere, vituperare, inveire, recriminare con le
parole più forti possibili”. E' proprio per la scelta di
privilegiare La forza dell'ambiguità e Il potere dell'invenzione che Cibo e felicità possono convivere in un Paradiso spaventoso,
circondati dal blues e dall'architettura di New York, dalla poesia
come “arte della memoria” e dalla filosofia come “un tornare a
casa”. Lì si riparte dalla fotografia iniziale, che è anche
quella definitiva perché “ci sarà sempre qualche lettore
solitario per il quale un libro di un altro luogo e di un altro tempo
miracolosamente prende vita”, ed è questa, infine, la trionfale celebrazione di un mondo
notturno, silenzioso e meraviglioso.
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