“Un
classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che deve
dire” scriveva Italo Calvino ed è una definizione che ben si
adatta a La luna è tramontata di John Steinbeck. Pur non
essendo mai dichiarato in modo esplicito, è facile dedurre che il
breve romanzo è ambientato in un villaggio norvegese invaso dai
paracadutisti tedeschi che, anche grazie alle trame di un
collaborazionista, riescono a ottenere in breve tempo il controllo
della zona. Il villaggio ha un valore strategico perché l’economia
locale si regge sul carbone, che sarà requisito ai fini bellici e
l’organigramma degli occupanti ripropone i caratteri umani e li
drammatizza: c’è la figura tormentata del colonnello Lanser che
cerca di non lasciarsi travolgere né dagli eventi né dalle emozioni
indotte dall’occupazione e quella del maggiore Hunter, che deve
disegnare e ridisegnare la ferrovia, che viene regolarmente sabotata.
In effetti, se le operazioni militari sono state un successo, la vita
quotidiana è angosciante per tutti. I soldati sono lontani da casa,
soffrono la tensione che ribolle in tutto il villaggio e anche se il
conflitto è limitato, contenuto, dopo un po’ l’impressione è,
come si dice nelle strade, che le mosche abbiano conquistato la carta
moschicida. John Steinbeck trova il modo di mantenere in
fibrillazione ogni singolo personaggio e spicca la figura del sindaco
Orden. In una sua prima riflessione, nel tentativo di limitare i
danni e di mantenere le saldi i confini delle istituzioni, dice: “C’è
un’idea in questo: se curi attentamente certe forme, raggiungi la
sostanza, e spesso la gente si lascia conquistare dalle forme”. Da
lì, sono protagonisti di una guerra fredda, silenziosa, non meno
crudele perché sanno di dover convivere con qualcosa che è
“tradimento e odio, pasticci di generali incompetenti, tortura,
assassinio, disgusto, stanchezza, finché poi è finita e nulla è
mutato, se non che c’è una nuova stanchezza, un nuovo odio”.
Mentre la resistenza diventa sempre più ostile, i soldati scoprono
con amarezza che erano pronti alla vittoria, ma non si sono mai
preparati ad affrontare l’idea di una sconfitta. Il disorientamento
è palpabile: tutte le ambiguità su cui si reggeva il fragile e
irrealistico equilibrio iniziale, tramontano insieme alla luna,
quando gli aerei alleati bombardano ogni singola luce e scaricano
armi e rifornimenti per la resistenza. Nell’impossibilità di far
fronte alla crescente ribellione, il colonnello Lanser, che
all’inizio aveva confidato nella collaborazione del sindaco Orden,
impone il suo arresto, preludio all’esecuzione. Nel drammatico atto
conclusivo, i due diretti antagonisti, il soldato e il politico,
vanno incontro ai rispettivi destini recitando i passi che ricordano
dell’Apologia di Socrate, ma è proprio Orden a sigillare il
messaggio finale: “I popoli non amano essere conquistati e per
questo non lo saranno. Gli uomini liberi non possono scatenare una
guerra, ma una volta che questa sia cominciata possono continuare a
combattere nella sconfitta”. Scrivendo La luna è tramontata,
John Steinbeck aveva compreso, già nel 1942, quello che tutti gli
strateghi e gli storici avrebbero appreso negli anni a venire, e
l’analisi che filtra attraverso le pagine del romanzo è chiara,
precisa, perfetta. Profetico e, sì, un classico.
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